NEW YORK (WSI) – È ormai opinione comune che, grazie alle scoperte di petrolio e gas di scisto (“shale gas”) degli ultimi due decenni, gli Stati Uniti riusciranno a raggiungere l’autosufficienza energetica. La conseguente flessione delle quotazioni del gas favorisce la concorrenza in alcuni settori dell’economia interna, a cominciare dai prodotti chimici e dai metalli primari, riducendo i costi sia delle materie prime che dell’energia.
Ma in futuro saranno solo l’America e le sue aziende a beneficiare del gas a basso prezzo, come molti ritengono? A Davos, in gennaio, Royal Dutch Shell PLC ha sottoscritto un accordo cinquantennale di condivisione dei profitti con l’Ucraina per la trivellazione e la ricerca di petrolio e gas di scisto. Queste formazioni di scisto, infatti, non sono una prerogativa degli USA. Dispongono di significative riserve di tale gas diversi Paesi di Europa, Africa (Francia, Regno Unito, Polonia, Germania, Turchia, Ucraina, Sudafrica, Marocco, Libia, Algeria) e altre regioni (Cile, Canada, Messico, Cina, Australia, Argentina e Brasile). Secondo le indagini preliminari, in 32 Stati il volume di gas di scisto tecnicamente utilizzabile supera di oltre sei volte quello degli Stati Uniti. Bisognerà vedere se si tratta di giacimenti di alta qualità: nei bacini americani, infatti, le rocce sono spesso più vicine alla superficie (quindi più facilmente raggiungibili) e più porose (il che facilita l’estrazione del gas), mentre in altre aree le riserve sono più profonde e meno accessibili (con conseguenti problemi tecnici e aumenti dei costi).
Il dibattito sullo shale gas vede oggi un’Europa spaccata in due, fra euforia e rifiuto totale. La procedura di trivellazione nota come fracking (fratturazione) prevede un cocktail di acqua, sabbia e additivi chimici, pompato in un pozzo ad alta pressione in modo da provocare la fuoriuscita del gas dalla roccia. Le prime operazioni di perforazione in Olanda e Lussemburgo sono state sospese a causa dei rischi ambientali e di un’opinione pubblica contraria. In Francia, il fracking è attualmente vietato, mentre in Germania l’opposizione sta facendo parecchio rumore sull’argomento. In Polonia ExxonMobil ha appena interrotto le ricerche preliminari, che non hanno dato i risultati sperati; in Spagna, invece, il governo locale basco ha annunciato la presenza di 185 miliardi di metri cubi di gas di scisto nel campo di Gran Enara, per la cui esplorazione sono stati investiti 40 milioni di euro.
Non si prevedono comunque scoperte fondamentali in tempi brevi. Lo sfruttamento delle riserve di questa tipologia di gas in Europa potrebbe rivelarsi un processo lungo e difficile sotto il profilo tecnico, politico e anche giuridico, per la questione dei diritti di proprietà (sarà complicato stabilire chi può trivellare e dove). Resta però l’esigenza di trovare fonti di energia sicure e convenienti. In particolare, il tema dei costi è al centro di una vivace discussione: i contratti a lungo termine stipulati dall’Unione Europea per la fornitura di gas, che coprono gran parte del fabbisogno della regione, prevedono un’indicizzazione al prezzo del petrolio, ma le ultime trattative fra acquirenti e venditori sembrano spingere in un’altra direzione. La utility tedesca RWE ha deciso di ricorrere all’arbitrato per far cancellare la clausola dell’indicizzazione dai contratti con Gazprom. E dopo dove andranno i prezzi europei? Se scenderanno, il gas di scisto potrebbe apparire meno interessante del gas naturale. Ma se i prezzi continueranno a salire, chissà? Inoltre, la necessità di tagliare le emissioni di CO2 potrebbe aprire nuovi scenari. C’è chi ritiene inadeguato l’attuale sistema del cap and trade (v. grafico seguente): un mercato troppo permissivo che non incentiva a ridurre le emissioni inquinanti.
?ll gas è un’ottima alternativa a diversi combustibili fossili (soprattutto il carbone, ma anche il petrolio) sia per abbassare le emissioni sia per sopperire a un’eventuale carenza di energia da fonti rinnovabili (ad esempio, se non c’è abbastanza vento per azionare le turbine eoliche). I Paesi europei, strangolati dalla stagnazione economica, spaventati dall’incertezza delle forniture e vincolati dagli obiettivi del protocollo di Kyoto, troveranno finalmente il modo di superare gli ostacoli allo sfruttamento del gas proveniente da formazioni scistiche? E se, in un clima politico favorevole, Inghilterra e Spagna riuscissero presto ad attingere alle proprie riserve? Questa nuova fonte di energia saprà sostenere la crescita e l’occupazione nelle economie più deboli, rendendo più competitive le imprese locali in alcuni settori?
In Cina prevale l’euforia. La rivoluzione sotterranea dello shale gas potrebbe sembrare più un sogno che una meta concreta, ma gli sviluppi positivi non mancano. L’opinione pubblica locale è ancora scossa dai recenti dati sulla pessima qualità dell’aria in molte città. Il Paese, che secondo le stime ha le maggiori riserve di gas di scisto a livello mondiale (il 50% in più degli USA in base a una ricerca dell’EIA), si sta muovendo espressamente verso fonti più pulite e ha una fame tremenda di energia (in particolare di gas, al momento interamente importato). Stando alle scarse informazioni disponibili, Petrochina, attualmente impegnata in un progetto sul gas di scisto nell’Alberta tramite una partnership con una società canadese, avrebbe avviato le ricerche anche sul territorio cinese.
Dal canto suo, Total si prepara a siglare un accordo, forse imminente, con un partner cinese per l’esplorazione nel Paese. La Cina ha inoltre appena annunciato che 16 imprese (tutte locali) hanno vinto la seconda fase di una gara d’appalto per l’esplorazione di 19 blocchi di gas di scisto nella regione centrale, impegnandosi a investire 2 miliardi di dollari nei prossimi anni. Il problema principale, in Cina come in altri Paesi (Argentina e Messico), consisterà nella scelta della tecnologia più efficace per lo sfruttamento di riserve difficili da raggiungere per motivi geologici: personalmente, credo che per muoversi più rapidamente occorra proprio una tecnologia estera. Ma il fabbisogno energetico locale, una politica risoluta e un’opinione pubblica ben disposta – oggi soffocata dallo smog – depongono a favore della Cina, più che dell’Europa.
Se riuscirà a sfruttare le riserve di scisto prima di quanto si pensi, la Cina tornerà ai bei tempi della crescita a due cifre? Le imprese locali – un tempo leader di costo e oggi minacciate dalle concorrenti dei Paesi confinanti, come Vietnam e Indonesia, o addirittura degli Stati Uniti – troveranno nello shale gas un nuovo vantaggio competitivo sostenibile nei prossimi dieci anni? Il previsto ritorno della produzione negli USA sarà solo un fenomeno temporaneo? È sempre molto difficile prevedere il futuro dell’energia.
Le prospettive del gas di scisto al di fuori del Nord America dipenderanno in larga misura dalla politica e dai mercati internazionali: in gioco ci sono le dinamiche di domanda e offerta, l’andamento dei prezzi (compreso il rapporto fra quotazioni del gas naturale liquefatto e dei gasdotti) e i costi di produzione, ma anche l’orientamento dei governi (è difficile immaginare che l’Argentina riesca a coinvolgere gli imprenditori stranieri nello sviluppo delle riserve interne dopo averne espropriato gli asset) e le problematiche locali. Ma proviamo a immaginare uno scenario che non è poi così remoto: nel lungo periodo il gas di scisto americano potrebbe rendere meno di quanto si speri (l’EIA ha più volte sottolineato le incertezze relative alla produttività dei pozzi), mentre in Cina e in Europa lo sfruttamento di tali risorse potrebbe accelerare, rimodellando non solo il mercato dell’energia ma anche gli equilibri commerciali e geopolitici a livello mondiale.