NEW YORK (WSI) – Nell’indifferenza generale il tetto del debito Usa è stato sospeso dove si trova fino a marzo 2017. Lo scrive il Laboratorio europeo di Anticipazione Politica (LEAP), nella lettera di geopolitica edita con cadenza mensile in collaborazione con Edizioni Anticipolis.
Nel report di novembre si sottolinea come la soglia, considerata dai critici un limite imposto artificialmente, abbia oscilatto tra l’essere troppo restrittiva e generatrice di scontri politici e il non essere abbastanza restrittiva dall’altra parte, per via del suo incremento costante nel tempo. Tutti ora possono dirsi felici al Congresso americano: è stata sospesa con una misura senza precedenti nella storia politica del paese.
Se i prossimi eletti alla Casa Bianca lo vorranno, il debito pubblico potrà continuare a salire all’infinito. L’intesa raggiunta a fine ottobre viene considerata una vittoria per il presidente Obama, che fino alla fine del suo secondo e ultimo mandato non dovrà più preoccuparsi dei limiti sul debito. Detto questo, non è proprio così che va letta la questione, secondo il report GEAB.
Prima di tutto sulle spese Obama ha dovuto fare concessioni ai Repubblicani, accordando un incremento ai budget interni e militari. Si parla di un bel 3% di aumento delle spese per la Difesa, contro il +0,7% delle altre voci, in uno dei paesi che spende più al mondo in esercito e sicurezza. Di certo ha contribuito l’innalzarsi dell’allerta terrorismo e delle tensioni geopolitiche dopo gli attentati di Parigi e l’abbattimento di un aereo russo da parte dei turchi al confine con la Siria.
Il rischio di uno shutdown è scongiurato e il governo ha preferito scendere a patti con la maggioranza parlamentare piuttosto che mostrare l’irresponsabilità vista negli anni precedenti di braccio di ferro fino all’ultimo tra Democratici e Repubblicani, con conseguente rischio di chiusura dei principali servizi pubblici. Il partito di centro destra ha votato a favore dell’accordo perché con ogni probabilità sta già pensando alle elezioni presidenziali del 2016.
Insomma, dice il team di analisti di GEAB, il destino del tetto del debito è deciso: tutti i partiti politici chiamati in causa hanno capito che imporre una soglia era inutile e non sarà difficile per il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America abolirla in maniera permanente, o per lo meno prolungare la durata della sua sospensione. Il muro di fuoco Usa contro il montante debito pubblico è stato abbattuto.
Europa stritolata in movimento placche tettoniche geopolitica
La crisi sistemica globale che stiamo attraversando da almeno otto anni rimette in discussione un ordine mondiale che abbiamo spesso detto risalisse non solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale ma molto di più al Rinascimento e alle grandi scoperte della fine del XV secolo. È cinquecento anni fa che l’Europa si è posta al cento del pianeta lanciando un vasto programma di esplorazione, poi di sfruttamento e poi di colonizzazione del resto del mondo, e infine di cooperazione con esso. 500 anni fa l’Europa è diventata il centro del mondo.
Un’Europa senza àncora in un mare in tempesta
Ora, da otto anni descriviamo anche la vasta transizione da un mondo occidentale ad un mondo multipolare di cui tentiamo di mostrare le innumerevoli opportunità, ma anche e soprattutto i pericoli, pericoli che pesano su una tale riconfigurazione nel momento in cui non viene controllata a dovere. È così che ci appelliamo costantemente all’ancoraggio democratico dell’Europa integrata… che è innanzitutto un semplice ancoraggio; ma anche alla partecipazione dell’Europa a tutti i tavoli di consultazione destinati a ripensare la governance a tutti i livelli e, in modo particolare, a questo tavolo Euro-BRICS con un potenziale di cambiamento positivo.
Tutte le crisi che l’Europa attraversa dal 2008-2009 presentano due caratteristiche: vengono dall’esterno; rivelano tutta la debolezza strutturale dell’Europa.
Eppure, su quest’ultimo punto, Franck Biancheri ha passato più di venticinque anni a lavorare molto da vicino con istituzioni europee e nazionali, allertandole, in particolare, sulla base di una semplice constatazione: l’integrazione europea veniva realizzata come progetto pilota al riparo tra il Muro di Berlino e la copertura americana, ma all’inizio degli anni ’90 entrava nella Storia. E i venti di questa Storia che avrebbero ormai soffiato su essa le imponevano di avviare un processo di consolidamento che non poteva che essere politico, e quindi democratico. Questo lavoro non è stato fatto perché troppi attori non avevano interessi a breve termine. L’Europa non si è ancorata. E oggi galleggia senza ancora nel bel mezzo di una tempesta dalle dimensioni omeriche che si infrange da tutte le parti.
Il fallito adattamento del modello di Stato nazione
Nell’enorme riconfigurazione geopolitica in corso, è una costruzione principalmente europea e strutturante per il nostro continente a dislocarsi del tutto, lo Stato nazione. Ora, le integrazioni regionali, la globalizzazione, Internet e l’emergere di nuovi attori di cultura politica differente hanno reso totalmente caduco questo livello nazionale per come è esistito. Paradossalmente, questo è ciò che l’Europa stessa ha compreso alla fine delle due guerre mondiali avviando un processo di superamento di questo modello del XIX secolo. Tuttavia, i visionari che avevano concepito questo progetto sono stati sostituiti, a partire dagli anni ’90, da una generazione che fondamentalmente non ha mai capito niente dell’Europa, i famosi baby-boomers la cui leadership conduce, in particolare da vent’anni, al totale fallimento dell’esperienza di integrazione europea.
L’Europa ha compiuto la propria integrazione fondandola sugli Stati nazione – il che è stata una buona cosa. Questi Stati nazione non hanno però saputo svolgere il compito fino in fondo e reinventare un proprio valore aggiunto in questa nuova configurazione. Lo abbiamo già detto, l’unico valore aggiunto degli Stati nazione riguarda la capacità di collaborare tra loro per produrre le trasformazioni sociali di adattamento. E invece, le norme all’unanimità di qualsiasi azione europea hanno portato alla paralisi politica dell’Europa e al chiaro fallimento della sua democratizzazione. E l’Europa, geopoliticamente centrale, avendo articolato il mondo attorno ad essa in 500 anni di predominio, è oggi lacerata dalle mutazioni di questo mondo. L’Europa avrebbe avuto bisogno di guardare il mondo per come è per rimarcarne e accettarne tutta la differenziazione in un atto di liberalizzazione del resto del mondo per meglio ritornarvi su nuove basi.
Multipolarizzazione e differenziazione
L’esempio più sorprendente che possiamo dare di questo lavoro di liberalizzazione è quello fornito dalla relazione transatlantica; ma si potrebbe citare anche la relazione Unione-India che è passata da una fase di ex colonizzatore ad ex colonizzato, la relazione Unione-Russia che oscilla tra una visione paneuropea della Russia (la Russia è l’Europa) e flashback di guerra fredda (la Russia è il marxismo applicato); la relazione Unione-Cina che è la più perplessa, il grande mistero asiatico, tanto lontano dai nostri modelli al punto che quando si tratta di sviluppare relazioni con la Cina, l’Europa è come una gallina da spennare; la relazione Unione-Africa meridionale, sempreché esista, passa inevitabilmente per i Paesi Bassi e l’Inghilterra, ecc. L’Unione ha continuato a guardare il resto del mondo solo tramite quello che è riuscita a modellare in esso anziché costruire relazioni con entità emergenti e attori indipendenti. Tutt’a un tratto, è rimasta strutturalmente legata alle parti più arcaiche di questi paesi e regioni, precisamente quelle che attualmente scompaiono. Ma torniamo all’esempio caratteristico della relazione transatlantica.
Differenziazione e disaccoppiamento: il caso USA
Abbiamo più volte rilevato la necessità dell’Europa di dissociarsi dal proprio avatar americano, un avatar in piena metamorfosi. La relazione transatlantica si è fondata infatti sul fatto che gli Stati Uniti erano in origine un’estensione europea e poi un’estensione europea che aveva assunto la leadership in seguito al suicidio europeo delle due guerre mondiali. Gli anni Bush Junior, in particolare, segnano però l’inizio di un’era di forte differenziazione tra Europa e Stati Uniti: la riprova è che il paese non è più WASP, anche Bush fa campagna in spagnolo in alcuni Stati; e lo spagnolo è ancora l’Europa (matinée di cultura indigena o africana); ma ci sono anche queste vaste comunità cinesi, iraniane, indiane… che, contrariamente a quello che accade in Europa, si raggruppano in vaste regioni alle quali conferiscono nuove caratteristiche e danno all’America una struttura sociale che non ha più granché di europeo.
E poi c’è questa « presa di indipendenza » in termini di sistema di valori. Fino a Clinton, benché a torto, gli Europei hanno voluto vedere nei partiti democratici e repubblicani una sinistra e una destra all’europea; con Bush questo non è più possibile. In materia di laicità, un valore eppure difeso dall’America – credevamo noi – fin dai tempi di Tocqueville, i costanti riferimenti a Dio nei discorsi a Bush ci convincono del contrario. Pena di morte, porto d’armi, democrazia discutibile, politica estera… di tutti i temi che si mettono a separare visibilmente l’Europa dagli Stati Uniti la lista è lunga. Sarebbe allora venuto il momento per ognuno di creare le condizioni per la propria indipendenza l’uno verso l’altro; non per ignorarsi o fare la guerra, bensì per ricostruire un nuovo quadro di cooperazione, meno compatto.
(Percentuali di opinioni favorevoli degli Europei sugli Usa negli anni Bush junior. Fonte: Pew research center)
Tutte le disgrazie del mondo si arenano sulle nostre spiagge
Tentativi di disaccoppiamento hanno sì avuto luogo, ma ben pochi portati a compimento. Così poco che, durante la crisi euro-russa intorno all’Ucraina nel 2014, « la coda fa muovere il cane »[2]: gli Stati Uniti contribuiscono direttamente ad un’escalation inaudita tra Europei e Russi nella quale non ci rimettiamo sempre. L’Europa, centro del mondo, si ritrova sulla via di una strategia di confronto russo-americana che la supera e la schiaccia…
… che la supera e che partecipa direttamente alla crisi seguente, alla crisi siriana, ancora una che viene dall’esterno, ma che ci colpisce in pieno. Eppure non ci troviamo proprio nel conflitto siriano, ma abbiamo piuttosto resistito alle ingiunzioni di intervento pervenuteci dai nostri amici americani, israeliani e sauditi. Siamo però riusciti meno bene a difendere l’unica politica razionale che si è imposta nel 2011: sostenere il regolare esercito siriano e, in cambio di questo sostegno, imporre a Bashar el-Assad una transizione democratica… ovvero il piano di pace proposto dai russi. Quanti morti, rifugiati e terrorismo avremmo evitato se avessimo obiettivamente seguito questo piano quattro anni fa piuttosto che adesso. Il nemico allora proposto era però la Russia e non Daesh.
È il nostro legame transatlantico o oltremanica ad averci permesso di essere un’isola come gli Stati Uniti o il Regno Unito? E di credere che potremmo contribuire all’aumento del caos in Medio Oriente senza subirne le conseguenze?
Fonte: GEAB