ROMA (WSI) – Il governo ha rotto un tabù. Fino a qualche tempo fa evocare l’Europa a “due velocità” era un semplice esercizio teorico: l’ipotesi di dividere l’unione in blocchi era considerata contraria allo spirito e agli intenti di una progressiva unione federale. La crisi politica che in questi mesi sta segnando l’Unione europea, però, sta cambiando i pensieri di alcuni nomi importanti dello scacchiere in un senso più possibilista. A parlare è il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che in un’intervista rilasciata alla “Stampa”, rimuove il tabù dell’integrazione di diverso livello fra paesi membri dell’Ue:
Qualche settimana fa ho scritto un articolo con il ministro degli Esteri inglese: la definizione di Europa a due velocità non è la migliore, ma è giusto discutere di livelli di integrazione diversa. C’è chi, come l’Italia, vuole un’unione bancaria, fiscale e politica crescente. E chi, come il Regno Unito, vuole solo un mercato comune più efficiente. Due visioni che devono e possono convivere
Una possibilità non solo teorica questa volta:
Cominceremo a parlarne a Roma, in un incontro tra ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori a sessant’anni dai trattati istitutivi.
Durante la crisi dell’euro e dei debiti sovrani si era parlato di dividere l’area della moneta unica in due blocchi, uno nordico e uno mediterraneo, per favorire una svalutazione nel Sud Europa e la ripresa delle attività economiche senza la dannosa esigenza dell’austerità.
La crisi dei migranti, arrivando a oggi, ha mostrato invece come il coordinamento unanime di 28 stati, sulla questione delle quote e del superamento di Dublino sia assai difficile. Un’Unione “core” in grado di smistare in modo più ristretto e efficiente tali questioni, a differenza di una divisione della moneta, sembra più praticabile. Le critiche del ministro Gentiloni, infatti, sono dirette proprio alle disfunzioni nella gestione dei migranti:
Non possiamo proseguire con le regole di Dublino che scaricano sui Paesi di primo arrivo asilo o respingimento dei migranti. Servono un diritto di asilo europeo, un’azione di rimpatrio europea, una polizia di frontiera europea. Senza questo scatto, la conclusione rischia di essere il sacrificio della libera circolazione delle persone
Per raggiungere questi risultati condivisi, dunque, si profila la proposta di restringere il club necessario per le decisioni, e lasciare in “periferia” quei paesi che remano contro l’integrazione, come Polonia, Ungheria, Slovacchia.