Il Giappone di Shinzo Abe è di nuovo pronto a stimolare l’economia con una politica fiscale espansiva. L’Europa continua ad imporre a sè stessa dannose politiche di austerità, ma il Paese del Sol Levante fa l’esatto opposto ed annuncia un aumento di spesa pubblica in infrastrutture e nuovi incentivi.
La politica espansiva del 2013 si è infatti rivelata un successo ed è stata vanificata solo dall’aumento della tassa sui consumi nel 2014. In quell’anno, il quantative easing era ancora in essere ma i consumi e gli investimenti sono comunque crollati. Al contrario di quanto sostiene la teoria economica dominante, infatti, consumi e investimenti dipendono dal reddito disponibile al netto delle tasse e dalle aspettative delle imprese sugli ordini di vendita, prima ancora che dal tasso di interesse reale su cui può agire la politica monetaria (dati e analisi in:
Perchè l’Abenomics delude: QE ed austerità). Keynes docet. Anche l’Europa del quantative easing di Draghi ne sa qualcosa, ma non abbandona le teorie di quello che gli economisti chiamano ormai
New Consensus. Con un debito pubblico di quasi il 250% del Pil, il Giappone si appresta ad aumentare la spesa pubblica per affrontare una congiuntura economica sfavorevole, mentre l’Italia e l’area euro (con un debito pubblico rispettivamente del 130% e 93% sul Pil) continuano ad adottare politiche di austerità. Come già avvenuto nel 2013, la Banca centrale del Giappone probabilmente finanzierà la spesa del governo acquistando direttamente i titoli di Stato emessi a copertura del maggiore deficit di bilancio ed i tassi di interesse sul debito pubblico continueranno infatti a rimanere tra i più bassi al mondo.
Queste semplici equazioni non sono attualmente possibili nella zona euro, dove esistono regole che sembrano proprio figlie di quell’antistorico New Consensus. Regole come il tetto imposto al deficit spending dei singoli Paesi e come il divieto di acquistare direttamente titoli di Stato da parte della Banca centrale europea. Regole, ça va sans dire, da cambiare.