Il gruppo automobilistico giapponese Toyota si è confermato ieri il numero uno al mondo, in una gara con la rivale americana General Motors che però resta ancora quanto mai aperta. Secondo un comunicato pubblicato a Tokyo, Toyota ha superato per la prima volta Gm in termini di vendite semestrali, che hanno raggiunto quest’anno il record di 4.716.000 unità.
Il sorpasso era dato per scontato dopo che lo scorso aprile il colosso nipponico aveva battuto per la prima volta quello statunitense su base trimestrale. Il comunicato della Toyota precisa che nello scorso semestre le sue vendite sono aumentate dell’8 per cento rispetto al medesimo periodo del 2006, mentre quelle di Gm sono aumentate dell’1,7 per cento, per un totale di 4.674.000 esemplari. Già lo scorso anno, dopo un serrato testa a testa, la produzione globale di autoveicoli nipponici aveva sorpassato quella americana, con 11,48 milioni rispetto a 11,26 milioni. La casa di Nagoya vorrebbe ora confermare questa supremazia sul piano dei gruppi, conquistando lo scettro annuale che Gm detiene da 75 anni. Non sarà un’impresa facile, perché nell’ultimo trimestre Gm ha avuto un sussulto di orgoglio, tornando a superare di 20mila unità le vendite degli antagonisti giapponesi.
La speranza del gigante americano è di confermare la recente inversione di tendenza, sfidando i successi nipponici legati a una comprovata efficienza energetica. Tale efficienza è stata ultimamente sottolineata non solo dalla perdurante crescita del marchio Toyota, ma anche da un sensibile balzo nelle vendite di utilitarie prodotte da un altro membro del gruppo, la Daihatsu (nell’arcipelago sono aumentate del 13 per cento negli ultimi sei mesi).
Quanto alla produzione complessiva di automezzi, non sembra che i produttori americani possano ormai riuscire a minacciare entro fine anno la supremazia del Giappone, che è stato già primo produttore mondiale del pianeta dal 1980 al 1993. Allora i trionfi nipponici sono stati ottenuti soprattutto con una politica aggressiva delle esportazioni negli Usa, che ha suscitato molte preoccupazioni anche negli ambienti politici di Washington. Adesso invece a mitigare qualsiasi stizza americana per i nuovi sorpassi è il fatto che si basano soprattutto su un ampliamento della produzione negli stabilimenti costruiti direttamente negli Usa, per ultimo presso la città texana di San Antonio.
In casa giapponese si evita però qualsiasi entusiasmo che possa risultare prematuro: un anno è ancora lungo e non possono essere esclusi a priori gli imprevisti, come il forte terremoto che lunedì scorso ha colpito la regione centroccidentale di Niigata danneggiando alcuni impianti di Riken, una grossa impresa che fornisce componenti per i motori prodotti in una quarantina di stabilimenti delle maggiori industrie automobilistiche dell’arcipelago, fra le quali Toyota e Nissan. La battuta di arresto ha influito sull’80 per cento della produzione automobilistica nazionale, ma ieri è stato confermato un ritorno alla normalità entro l’inizio della settimana prossima. Anche sul piano dell’energia il sisma potrebbe avere alcune ripercussioni, a causa di alcuni danni alla centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, che ne hanno imposto la chiusura per almeno un anno. Ieri il ministro dell’Economia, Commercio e Industria, Akira Amari, ha escluso che la chiusura della centrale, pur essendo la maggiore del mondo, possa influire sensibilmente sulla rete energetica nazionale, ma ha evitato comunque a prendere precauzioni qualora elevate temperature estive accrescessero eccessivamente i consumi elettrici.