Società

Gilet gialli, si indaga su influenze russe sui social media

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Sabato scorso, 8 dicembre, l’Alliance for Securing Democracy aveva diffuso un dato destinato a risollevare dubbi sulle possibili ingerenze russe negli affari europei – in particolare nella protesta dei gilet gialli. Circa 600 account Twitter riferibili a Mosca, infatti, avrebbero “pompato” l’hashtag #giletsjaune, incoraggiandone le azioni. Sulla questione hanno avviato indagini anche i servizi di sicurezza francesi, aveva fatto sapere il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian.

L’accusa, com’era prevedibile, è stata prontamente respinta dal portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov: “Non abbiamo interferito e non interferiremo negli affari interni di un paese terzo, compresa la Francia”. Varie analisi successive, comunque, sembrano attribuire un’importanza marginale alle possibili influenze russe sui gilet gialli.

“Data l’importanza della mobilitazione sui social network intorno alle giubbe gialle, i tentativi di influenza russa sul movimento costituiscono una goccia d’acqua in un oceano”, ha dichiarato a France 24 Olivier Costa, politologo e direttore dello European Political and Administrative Studies.

Un ricercatore informatico francese, Baptiste Robert, ha compiuto uno studio sui tweet legati ai gilet gialli basato su 250mila interventi. Il suo lavoro, ripreso da vari media nazionali come Liberation e Le Monde, ha messo in luce come nessuno degli utenti più attivi fra quelli che hanno utilizzato #giletsjaune, ha rivelato un’azione coordinata. Non sarebbero stati coinvolti, infatti, i profili “bot” che rilanciano automaticamente i contenuti per incrementarne la visibilità: il sintomo tipico delle operazioni pianificate sui social.

Anche l’opinionista di Bloomberg, Leonid Bershidsky, ha intitolato un suo intervento “I gilet gialli non sono importati dalla Russia”:

 “La Russia di Putin e gli Stati Uniti di Trump”, ha argomentato, “amano le giubbe gialle perché Macron ha preso posizione contro Putin e Trump – e perché entrambi sono obiettivamente interessati a un’Unione europea più debole” tuttavia, “i motivi principali per le proteste sono tipo interno”.