(9Colonne) – Torino, 20 feb – Senza richiedere risorse aggiuntive, il tribunale di Torino ha ottenuto nell’ultimo quinquennio risultati così significativi da meritare una specifica menzione della Commissione europea. Semplicemente, su iniziativa del suo presidente, sin dal 2001 ha messo a punto un “decalogo”, una serie di norme di comportamento rivolte a giudici e cancellieri allo scopo di ridurre i tempi dei processi. Il risultato è stato una riduzione del 33 per cento del carico pendente in cinque anni (2001-2006). Un buon esempio di “riforma dal basso” analizzato e commentato su “la voce.info” dal giurista Diego Corrado e dall’economista Marco Leonardi. Al decalogo si sono aggiunti piccoli ma cruciali incentivi: “per i magistrati, la menzione del contributo offerto da ciascun giudice per il conseguimento degli obiettivi nei pareri redatti per la progressione in carriera; per il personale amministrativo, l’inclusione del programma fra i cosiddetti progetti finalizzati concertati con i sindacati e rilevanti ai fini del premio di produttività”. Ma quali sono i contenuti del “decalogo”? Alcune disposizioni sono volte a rendere più fruttuoso il tempo trascorso in udienza, alla presenza delle parti e dei loro legali: a tal fine il giudice deve effettivamente esercitare il potere di direzione del processo che la legge gli affida. Per poterlo fare, ovviamente, deve conoscere approfonditamente le “carte” processuali, e analoga conoscenza deve pretendere dai legali; di quanto accade deve dare atto scrupolosamente nel verbale, che diventa così un importante strumento di gestione del processo. Si scoraggia la produzione di memorie scritte, valorizzando le norme del codice di procedura che consentono la più veloce trattazione orale della causa. Altre disposizioni puntano a concentrare le attività. Sono sconsigliati intervalli eccessivamente lunghi tra un’udienza e l’altra (di norma non devono superare i 40-50 giorni), al fine di assicurare a ciascun processo una media tendenziale di otto/dieci udienze all’anno. Anche se richiesti dalle parti, ad esempio perché ci sono trattative in corso volte alla definizione della controversia, i rinvii devono essere concessi con parsimonia, e solo se paiono davvero utili. Un altro gruppo di prescrizioni si propone di rendere più snella ed efficace la parte più propriamente istruttoria del processo, quella in cui si cercano riscontri alle contrapposte tesi, ascoltando testimoni, facendo perizie, eccetera. Anche qui, semplici richiami all’effettiva osservanza delle norme di procedura, spesso trascurate nella prassi: testimoni sentiti solo se necessario, nel numero minimo, su fatti e circostanze precisamente individuate, affinché non siano introdotte inutili divagazioni; consulenti del giudice chiamati al rispetto dei tempi loro concessi, e a fornire documentazione adeguata della attività svolta in contraddittorio con le parti. Infine, il giudice deve adoperarsi ogniqualvolta gli paia opportuno per la conciliazione della lite, potere che del resto gli è affidato dalla legge.