Busta paga sempre più povera e ridotta al lumicino. Stipendi sempre più miseri: il taglio del cuneo fiscale, introdotto dal governo guidato da Giorgia Meloni, non ha apportato dei benefici reali ai lavoratori.
Grazie al taglio del cuneo fiscale, i dipendenti riusciranno a trovarsi in busta paga poco meno di 100 euro al mese. Una cifra che risulta essere insufficiente per recuperare il potere d’acquisto delle famiglie, che nel corso del 2022 hanno perso qualcosa come 10 miliardi di euro.
La situazione degli stipendi degli italiani appare ancora più drammatica se si va a dare uno sguardo al passato. Un’analisi effettuata dal “Fatto Quotidiano” ha messo in evidenza che gli interventi effettuati dalla seconda metà del 2021 risultano essere insufficienti a proteggere il potere d’acquisto delle famiglie. L’inflazione ha iniziato a crescere senza sosta fin dallo scoppio della guerra in Ucraina e continua ancora oggi a pesare sulle tasche dei lavoratori e delle loro famiglie.
Busta paga, non basta il taglio del cuneo fiscale
l’analisi ha messo in evidenza che lo stanziamento, arrivato attraverso l’ultimo Decreto Lavoro, che dovrebbe incrementare di quattro punti l’esonero contributivo che spetta ai lavoratori con una retribuzione annua fino a 35.000 euro, ammonta – al netto della maggiore Irpef che dovrà essere pagata – a qualcosa come 2,9 miliardi di euro.
A questa cifra devono essere aggiunti i 3,5 miliardi di euro che sono stati previsti nella Legge di Stabilità, con la quale è stato confermato il taglio di due punti introdotto dal governo Draghi e lo ha portato, invece, a 3 punti per le famiglie con reddito fino a 25.000 euro.
Complessivamente, in questo modo, si raggiunge quota 6,4 miliardi di euro, a cui si aggiungono altri due miliardi del precedente governo: complessivamente siamo arrivati a quota 8,4 miliardi di euro.
Andando a dare uno sguardo ai dati dell’Istat, risulta esserci un forte divario tra il reddito reale delle famiglie e l’aumento dei prezzi al consumo. Le risorse, che sono state introdotte dai vari governi, sono riuscite a coprire unicamente il 60% della perdita del potere d’acquisto degli stipendi, che nel corso di un anno e mezzo risulta essere pari a 10,3 miliardi di euro.
La domanda che molti osservatori si pongono è come possano fare le famiglie a far fronte a questo rincaro dei prezzi. Al momento non è stato rinnovato il taglio delle accise, che permettevano di contenere il rincaro delle bollette.
Stipendi sempre più poveri
Il bonus, che oscilla tra i 45 ed i 100 euro, che arriverà direttamente in busta paga per quanti hanno un reddito fino a 35.000 euro, non sembra essere particolarmente utile per far fronte alla situazione. L’inflazione continua a crescere: su base mensile è previsto un aumento dello 0,5%, rispetto all’ultima rilevazione resa nota dall’Istat.
Questo è uno dei motivi per i quali i sindacati hanno criticato duramente il governo Meloni per il Decreto Lavoro approvato il 1° maggio 2023. L’accusa è stata quella di aver precarizzato ancora di più il lavoro, andando a modificare il Decreto Dignità. Sarebbe stato molto più utile andare ad aumentare gli stipendi o stabilire un salario minimo.
A dare ragione ai sindacati ci sono le statistiche Istat sui contratti collettivi aggiornati a fine aprile, che hanno messo in evidenza che nonostante il rallentamento della crescita dei prezzi, la dinamica dell’inflazione e quella degli stipendi (almeno sotto il profilo delle retribuzioni contrattuali) rimane superiore a sette punti percentuali.
Gli stessi problemi ci sono alla Bce
Il problema degli stipendi è presente anche all’interno della Bce. La Banca Centrale europea, in questi mesi ha avviato una vera e propria ricognizione sui meccanismi salariali, in modo da poter valutare eventuali automatismi di adeguamento all’inflazione. Il “Financial Times” riferisce che sono stati i sindacati a chiedere questa revisione, contrari ad un aumento della busta paga di poco superiore al 4% a fronte di un aumento dell’inflazione dell’Eurozona pari all’8,4%. L’aumento proposto, comunque vada, è in linea con la crescita salariale dell’area.
Il confronto, in queste settimane, si sarebbe spostato proprio su questi automatismi. Carlos Bowles, rappresentante dello staff Bce per il sindacato Ipso, nel corso di un’intervista rilasciata al “Financial Times”, ha spiegato che la richiesta è per un approccio più bilanciato per definire il valore degli stipendi: il modello da imitare sarebbe quello della Commissione europea. Per il momento, la Bce aggiorna gli importi delle buste paga basandosi sulle dinamiche salariali delle venti banche centrali nazionali, della Commissione europea, della Bei e della Bri. Il quotidiano inglese mette in evidenza che il turnover del 2022 si è fermato all’1,3%: a questo punto non ci sarebbe un tale frustrazione nello staff da generare fughe.