Per la prima volta dal 2010 l’economia mondiale sta ottenendo risultati superiori alle stime e l’andamento robusto delle attività dovrebbe continuare. È il punto cruciale dell’ultimo outlook di Goldman Sachs sull’economia globale. Le previsioni sul Pil della banca americana per il 2018 sono per un’espansione del 4%, in rialzo dal 3,7% dell’anno prima e decisamente sopra le attese del consensus. La tenacia dell’attività economica complessiva è generalizzata nel pianeta, è interessa sia le nazioni in via di sviluppo, sia quelle industrializzate.
Sul frangente della bilancia tra domanda e offerta, gli analisti si aspettano timidi segnali di ripresa della crescita della produttività rispetto all’andamento deludente successivo al periodo di crisi. Detto questo, la capacità inutilizzata si sta riducendo in modo rapido ed è già esaurita in tutta una serie di economie industrializzate, prima fra tutti quella degli Stati Uniti. In questo caso, la domanda da porsi non è se la produzione supererà il potenziale, ma di quanto. Al contrario l’Europa meridionale dovrà aspettare ancora diversi anni di crescita robusta prima di tornare a una piena occupazione.
“Se il gap produttivo è stato di gran lunga colmato, perché allora l’inflazione di fondo (l’indice ‘core’ depurato dalle componenti più volatili) è ancora così bassa?” si chiede Goldman Sachs nel report. Stando all’analisi della banca una buona parte del fattore scatenante è da ricercare nella debolezza dei prezzi delle importazioni e delle materie prime, che hanno controbilanciato l’impatto relativamente modesto (seppur statisticamente molto significativo) del rallentamento della fase stagnante dei prezzi al consumo.
L’anno prossimo gli effetti sopra citati dovrebbero diminuire e Goldman Sachs prevede un aumento graduale dell’indice ‘core’ dell’inflazione globale, sebbene questo non significhi che i prezzi al consumo raggiungeranno la soglia obiettivo delle banche centrali. Se l’inflazione si surriscalda, per alcune banche la robustezza dell’attività economica sarà presto “troppo positiva” per alcune banche centrali, come la Fed, che dovranno rallentarne il passo per impedire un surriscaldamento esagerato dei prezzi che alla lunga avvicinerebbe lo spauracchio di una recessione.
La strategia monetaria della Fed è decisamente più aggressiva e meno accomodante di quanto scontino i mercati, rileva la banca. Si può dire lo stesso anche per le economie più piccole del G10 come la Svezia e l’Australia. Le politiche di Bce e Banca d’Inghilterra, al contrario, rimangono moderatamente accomodanti rispetto a quello che si aspettano i mercati finanziari.
“Per il momento, la stretta della Fed più aggressiva del previsto non dovrebbe pesare sulla crescita dei paesi industrializzati, dove le politiche monetarie divergenti di solito hanno conseguenze finanziarie limitate”, scrive Goldman Sachs. “E se da un lato l’impatto sulle economie emergenti potrebbe essere consistente, siamo convinti che le riforme strutturali messe a punto di recente abbiano reso le economie in via di Sviluppo più resistenti rispetto a quanto non sia successo con i cicli di innalzamento dei tassi Usa del passato”.
I rischi maggiori a breve termine sono invece politici, secondo gli esperti della banca d’affari: in particolare vengono citati “il futuro degli accordi commerciali del NAFTA, le elezioni politiche italiane e il rischio di un conflitto militare nella penisola coreana.