Ancora una volta il colosso del web Google finirà in tribunale. E anche se si tratta nell’ennesima accusa di violazione antitrust, stavolta la situazione è molto pesante per l’azienda di Mountain View. L’esito di questo processo, previsto domani 12 settembre, potrebbe rimodellare la situazione non solo di Google, ma di molte altre piattaforme web, che potrebbero essere anche loro denunciate per le stesse violazioni.
Non è un momento d’oro per i giganti del web. Tra le nuove leggi europee e la “persecuzione” da parte delle autorità antitrust in America, queste aziende rischiano di vedere compromesse le proprie posizioni dominanti. E di dover fare un bilancio costi-benefici per valutare se mantenere queste posizioni ormai radicate da decenni sia ancora funzionale in un mondo sempre meno tollerante a monopoli e cartelli. O addirittura se non convenga abbandonare alcuni mercati, come quello europeo.
Google a processo, i motivi
Da anni Google è sotto i riflettori della stampa e sotto gli occhi delle autorità federali e internazionali. E sempre per lo stesso motivo: l’antitrust, ovvero le norme a tutela della libera concorrenza e contro la formazione di oligopoli e monopoli. Questo martedì Google dovrà affrontare in tribunale i funzionari governativi che hanno accusato la società di violazioni antitrust nella sua massiccia attività di ricerca. Quello che avverrà martedì sarà il culmine di due azioni legali mosse dalle autorità contro Google, tutte avviate durante la presidenza Trump.
Nel 2020 Google venne accusato dal Dipartimento di Giustizia e da oltre 12 Stati di aver abusato della sua posizione dominante nella ricerca online danneggiando presumibilmente la concorrenza. Stando a quanto riportato dalla CNN, sembrerebbe che Google abbia avuto degli accordi sottobanco con operatori wireless e produttori di smartphone per rendere il motore di ricerca Google l’opzione predefinita o esclusiva sui prodotti utilizzati da milioni di consumatori. Sempre nel 2020 altri Stati americani, guidati dal Colorado, hanno avanzato ulteriori accuse contro Google: l’azienda di Mountain View ha strutturato la pagina dei risultati di ricerca dando priorità alle app e ai servizi dell’azienda rispetto a quelle della concorrenza.
Sebbene quest’ultima accusa sia stata respinta dalla Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia, l’accusa fondante di violazione antitrust rimane in piedi, al putno che in molti considerano il caso Google vs Governo USA come il più grave caso di monopolizzazione del mercato dai tempi di Microsoft, quando venne accusata per lo stesso reato negli anni Novanta.
Cosa potrebbe accadere dopo il processo
Google non vuole sentire parlare di monopolio nei confronti della sua organizzazione e del suo modo di gestire il Web. Lei stessa rivendica il fatto che la sua posizione di dominanza è dovuta ai suoi consumatori, che preferiscono i suoi strumenti perché sono i migliori, non perché si è mossa per limitare illegalmente la concorrenza. Sempre alla CNN Kent Walker, presidente degli affari globali di Google, sottolinea come “le persone non usano Google perché devono farlo, lo usano perché lo desiderano.”. Inoltre considera ridicolo il fatto che ci sia un’imposizione del motore di ricerca, visto che “è facile cambiare il motore di ricerca predefinito: abbiamo superato da tempo l’era della connessione Internet remota e dei CD-ROM.“.
Eppure questa sua situazione fortunata non ha fatto altro che arricchire l’azienda: la sola di ricerca di Google fornisce più della metà dei 283 miliardi di dollari di ricavi e dei 76 miliardi di dollari di utile netto registrati dalla società madre di Google, Alphabet, nel 2022. Azienda che ha raggiunto una capitalizzazione di mercato di oltre 1,7 trilioni di dollari. È ovvio che questi risultati potrebbero venire a meno qualora gli Stati Uniti costringano Google ad aprirsi alla concorrenza, e ad abbandonare le sue pratiche. E questo beneficerebbe la stessa concorrenza, non a caso, tra i testimoni di alto profilo ci sono anche alcuni dirigenti di Apple, incluso il vicepresidente senior Eddy Cue.
Un indebolimento del gigante Google darebbe modo alle altre imprese di poter promuovere i propri servizi di ricerca (Bing, Yahoo, Safari…), e quindi di creare quella libera concorrenza che dà slancio all’innovazione. Non a caso, tra le accuse rivolte c’è il fatto di star minacciando l’innovazione futura con questa posizione dominante, specie durante la corsa alle AI. Paradossalmente un suo indebolimento potrebbe danneggiare i produttori mobile: il Governo americano ha affermato che la stessa azienda paga miliardi di dollari all’anno i produttori di dispositivi tra cui Apple, LG, Motorola e Samsung, affinché Google diventi il loro motore di ricerca predefinito e vietino di trattare con i concorrenti di Google. Un supporto del genere verrebbe a mancare per tutte queste aziende, nel caso in cui si dovesse arrendere.
Antitrust e Google, la situazione in Europa
La situazione è in Europa sembra ancora più grave. Anche in questo caso Google è accusata di distorcere la concorrenza nel settore della tecnologia pubblicitaria (“adtech”). In un comunicato del 14 giugno scorso, la Commissione contesta il fatto che Google “favorisca i propri servizi di tecnologia pubblicitaria online a scapito dei fornitori concorrenti di servizi di tecnologia pubblicitaria, degli inserzionisti e degli editori online“. Praticamente le stesse accuse mossele in America. Ma se in America difficilmente si andrà ad una sanzione (una delle più alte è stata nel 2012: 22,5 milioni di dollari per aver violato la privacy degli utenti Safari), in Europa si potrebbe arrivare a superare quella del 2017.
Se la Commissione dovesse confermare la violazione dell’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”), che vieta l’abuso di posizione dominante sul mercato, Google verrà sanzionata fino al 10% del fatturato mondiale annuo dell’impresa. E se nel 2017 la compagnia viene condannata dall’antitrust per 2,42 miliardi di euro, c’è da immaginarsi quanto potrebbe essere notevole quella che potrebbe infliggerle stavolta.
E questo senza nemmeno andare a coinvolgere le due nuove norme europee sui mercati digitali. Già diverse aziende sono state identificate dalle autorità europee come gatekeeper (ovvero un punto di accesso importante tra imprese e consumatori), e tra queste c’è l’Alphabet di Google. Hanno ora sei mesi di tempo per conformarsi all’elenco completo di obblighi e divieti, altrimenti l’Europa provvederà oltre a sanzioni ancora più salate (addirittura fino al 20% del fatturato), anche a obbligare il gatekeeper a vendere un’impresa o parti di essa. Pena, il divieto per il gatekeeper di acquisire altri servizi correlati. E da qui aziende come Google dovranno decidersi se rimanere in Europa o andarsene.