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GOOGLE, LOTTA TRA AZIONISTI E UTENTI

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – E’ difficile gestire un’azienda
che deve cambiare il mondo, stare dalla parte degli
utenti, soddisfare gli azionisti, conseguire questi
tre obiettivi contemporaneamente e, soprattutto,
comportandosi eticamente. E’ difficile
per tutti, e abbiamo appena scoperto che è difficile
anche per quella incredibile azienda che
è Google. Ieri è crollata in borsa, perdendo il 7,14% e bruciando in un giorno circa 10 miliardi di
dollari.

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E’ bastato l’annuncio che gli utili operativi
si sarebbero attestati a 1,54 dollari ad
azione invece dell’1,76 attesi. Perché? Per
capirlo, al di là dei numeri,
guardiamo alla strategia.
Primo. La missione di
Google è quella di «organizzare
l’informazione del
mondo e renderla universalmente
accessibile e utile
». Una missione niente male,
che richiede una strategia
innovativa, proattiva e soprattutto
globale. Google
ha dimostrato di essere in
grado di implementare una
strategia che ha tutti questi requisiti:
ha aperto nuove
strade, ha assunto i rischi
conseguenti (l’ultimo, lo
scontro con Bush) e ha dato priorità ai mercati
piuttosto che ai principi. Infatti, anche se Google
costantemente ribadisce di voler «resistere alla
tentazione di fare piccoli sascrifici per aumentare
il valore degli azionisti», nella pratica ha preferito
correre il rischio di indebolire la propria immagine
di azienda progressista autocensurandosi
piuttosto che quello di perdere
il mercato cinese. Evidentemente,
un investimento sul futuro:
oggi Google registra 4.03
miliardi di dollari di vendite,
6.55 miliardi sono quelli previsti
per questo anno.

In confronto,
il mercato cinese sembra
piccola cosa: Baidu, il motore
di ricerca leader in Cina, ha generato
38 milioni di dollari di
vendite nel 2004 e 72 l’anno
scorso. Ma il mercato di Internet
sta crescendo: già oggi,
sommando le vendite di Sohu,
Sina, Shanda e NetEase, abbiamo
748 milioni di dollari. Insomma:
se il mercato cinese è
strategico, Google ha mostrato
di sapersi piegare alle regole
del gioco del business mettendo
da parte i principi etici. E
questo dovrebbe aiutare gli
azionisti a tranquillizzarsi sulla
solidità strategica dell’azienda.

Secondo. Google ripete
spesso di aver rifiutato di fare
ogni cambiamento che non offra
un beneficio agli utenti. In
realtà, la situazione è un pochino
più complessa. Innanzitutto,
grazie al servizio di AdSense, le
vendite di pubblicità su Internet
stanno crescendo a livelli esponenziali,
e questo sta portando il fatturato di
Google a crescere del 50% all’anno. Il problema
è che il numero degli utenti su Internet non sta
crescendo alla stessa velocità. E questo è uno
dei motivi di preoccupazione da parte degli analisti.

Abbiamo già detto di come l’azienda si è
mossa per restare sul mercato cinese. Certamente
sta cercando nuove fonti di reddito, e la campagna
acquisti condotta dall’azienda, volta a disegnare
la nuova Internet interconnessa e multimediale,
va certamente nella direzione degli
utenti ma soprattutto degli azionisti: sono loro
che spingono perché Google diventi qualcosa
di alieno – nel senso di incommensurabilmente
diverso – da Yahoo,
Microsoft e AOL Time Warners,
cioè l’azienda che – come a suo
tempo Ford e Microsoft – definisce
il paradigma.
Terzo. Lo sapevano
bene i due fondatori,
Larry Page and Sergey
Brin, che infatti non si
sono mai dichiarati entusiasti
di andare in borsa. Infatti,
dal momento che sei
un’azienda quotata, inizia
lo stillicidio del trimestrale, i risultati
del trimestre comparati a quelli del trimestre
precedente, i risultati ottenuti messi a confronto
con quelli previsti. E questo è quello che è
avvenuto: i risultati sono stati inferiori alla previsione.
Si tratta ovviamente di risultati che farebbero
la felicità di ogni altra azienda, ma che nel
caso di Google rappresentano un po’ la cartina al
tornasole di un’intera industria. Il punto è che la
costruzione della nuova Internet
richiede investimenti, molti
di numero e in più direzioni, e
Google sta facendo esattamente
questo. Il problema è che
questi investimenti sono a lungo
termine, mentre le attese degli
azionisti sono a brevissimo.

Ecco il motivo dell’allarme degli
analisti: gli investimenti necessari
per lo sviluppo della
nuova Internet saranno pagati
dagli utenti o dagli azionisti?
Un mercato che cresce meno
degli investimenti necessari
al suo sviluppo, un fatturato
che cresce più del mercato,
un’immagine di azienda più attenta
ai fatturati che ai principi.
Questi, in sintesi, i nodi di Google.

In estrema sintesi, il perfetto
equilibrio tra utenti e azionisti
di Google si è rotto. Adesso
vedremo quale strada prenderà
l’azienda, chi prediligerà.
Il mantra di Google è essere
buoni: «do no evil». Non c’è bisogno
di giocare sporco per essere
vincenti. Questa assunzione
ha reso felici gli utenti, orgogliosi
di far parte di un universo
del bene. Presto vedremo se
gli azionisti condividono la
stessa opinione.

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