Rispetto al governo Renzi, i nuovi ministri del governo Gentiloni sono cinque. Per il resto, i titolari dei vari dicasteri avranno gli stessi nomi, con mansioni in alcuni casi diverse. Maria Elena Boschi passa dal Ministero dei Rapporti con il Parlamento a sottosegretario alla presidenza del Consiglio e diventa oggetto di sfottò e di critiche varie.
La ministra aveva infatti affermato che in caso di vittoria del NO al referendum costituzionale, avrebbe lasciato la politica. Il giorno dopo, invece, è quasi in pole position.
Angelino Alfano (Ncd) lascia la poltrona del Viminale per passare a quella della Farnesina, diventando ministro degli Esteri. Il suo posto sarà preso da Marco Minniti.
Rimangono ancorati alle sedie anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, Dario Franceschini (cultura), Giuliano Poletti (ministro del Lavoro), Marianna Madia per la Pubblica amministrazione.
E ancora si riconfermano alla Giustizia Andrea Orlando, alla Difesa Roberta Pinotti, allo Sviluppo Carlo Calenda, all’Agricoltura Maurizio Martina, all’Ambiente Gian Luca Galletti, al ministero delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio.
Ovviamente confermato – per i dossier sulle banche italiane – leggi MPS e UniCredit – il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Tra i nuovi incarichi compaiono i nomi appunto di Marco Minniti che sarà il ministro dell’Interno, Luca Lotti va allo Sport, all’Istruzione e Università Valeria Fedeli prende il posto di Stefania Giannini, ai Rapporti con il Parlamento (dicastero presieduto fino a poche ore fa da Boschi) va Anna Finocchiaro (ministro senza portafoglio). Dei dicasteri che contano l’unico volto nuovo è all’Istruzione.
Governo delude elettorato, D’Alema critico
Immediata la reazione di alcuni esponenti del PD, tra cui spicca Massimo D’Alema, che continua a strepitare:
“Se la risposta all’esito del referendum, e al voto contrario dei giovani, è quella di spostare Alfano agli Esteri per far posto a Minniti, allora abbiamo già perso 4 o 5 punti percentuali, e alle prossime elezioni sarà un’ondata. Dicono di aver preso il 40% dei voti, come mai nessuno prima, allora devono rileggersi la storia: nel referendum sulla scala mobile il Pci prese il 45% circa e poi alle elezioni ebbe il 27%. Fare il calcolo oggi è semplice”.
Scatenata l’opposizione, con Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e esponente del M5S che commenta con uno slogan.
“Squadra che perde non si cambia”, aggiungendo: “Ho visto Gentiloni leggere i ministri del governo Renzi, bocciati dal 60 per cento di No al referendum. Non ha sbagliato elenco, ma Paese”. Si tratta di “un governo nemico della meritocrazia, nemico dei cittadini onesti” guidato da colui che, afferma Di Maio, “è stato ministro degli Esteri mentre si esportavano bombe in Arabia Saudita, promosso presidente del Consiglio dei ministri”. Di Maio attacca anche il nuovo ministro allo Sport Luca Lotti, tra i fedelissimi di Renzi: Lotti viene indicato come colui che “portato Verdini in maggioranza di Governo e gli ha permesso anche di fare le liste a sostegno del Pd per le amministrative”. Per Di Maio “si stanno scavando la fossa con le loro stesse mani. Loro non si arrenderanno mai, noi neppure!”.
A tal proposito la novità, rispetto al governo di Matteo Renzi, oltre a qualche nome diverso, è la decisione di Verdini & Co di far mancare il loro assist. No alla fiducia, insomma, visto che non c’è stata una “rappresentanza Ala-Sc”. Così in una nota Denis Verdini e Enrico Zanetti.
“Non voteremo la fiducia a un governo intenzionato a mantenere uno status quo. Il governo deve assicurare il giusto equilibrio tra rappresentanza e governabilità, senza rinunciare, in nome di pasticciate maggioranze, a quest’ultimo principio”.
Oggi è atteso il voto di fiducia al nuovo governo.