ATENE (WSI) – Quando l’accordo sembrava ormai prossimo all’arrivo, ecco che le smentite da Bruxelles riducono al lumicino le speranze di un’uscita dalla crisi della Grecia. La data ultima per stringere un’intesa è il 5 giugno: è veramente la scadenza definitiva, fanno sapere dal governo greco.
Il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha dichiarato di non aver pronto nessun piano del compromesso in grado di mettere d’accordo creditori europei e governo greco, come invece si vocifera da ieri.
Le trattative rimangono dunque in una fase di impasse che dura ormai da quattro mesi. Juncker ha anche escluso, come invece avevano fatto capire i funzionari ellenici, che un’intesa possa essere realisticamente stretta al prossimo summit dell’Eurogruppo a Riga, in Lettonia.
La speranza è di trovare un accordo tra fine maggio e inizio giugno. Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, è più ottimista e crede che tra una settimana un’intesa potrebbe essere stretta. Anche perché Atene rischia nel giro di due settimane di non avere i soldi sufficienti per ripagare le tante scadenze del debito che ha nei confronti di Bce, Fmi e amministrazione pubblica.
In una lettera inviata qualche giorno fa alle tre istituzioni della troika, il premier Tsipras ha avvertito che non Atene non avrebbe onorato i suoi pagamenti nei confronti del Fmi, in scadenza il 12 maggio, se la Bce non le avesse concesso di emettere debito a breve termine.
Alla fine per restituire i 750 milioni in scadenza il governo ha fatto ricorso alle risorse di emergenza di un conto aperto presso lo stesso Fondo. In pratica si è indebitata presso l’istituto di Wahington per restituirgli un prestito: siamo al paradosso.
Senza un rinvio dei pagamenti – che sarebbe quello che grossomodo chiede l’esecutivo guidato da Syriza – e un accordo per ricevere una nuova tranche di prestiti dai creditori europei, Atene rimarrà a secco.
Le casse statali sono vuote e in assenza di aiuti esterni, il default delle finanze pubbliche potrebbe concretizzarsi nelle prossime settimane. L’11 maggio Varoufakis aveva avverito che rimanevano due settimane di liquidità .
A chi gli chiedeva ieri cosa farebbe se non ci fossero abbastanza soldi per pagare sia il Fondo che i pensionati del paese, Varoufakis ha fatto capire di non avere dubbi su chi sceglierebbe. “Vi posso assicurare che se ci troveremo davanti a un dilemma corneliano del genere, tra pagare un creditore che rifiuta di firmare un accordo con noi e un pensionato, pagheremo il pensionato. Ma spero che saremo in grado di pagare entrambi”.
Intanto prende piede l’idea di fare ricorso a un referendum sulle riforme in cambio dei nuovi aiuti. I falchi delle autorità europee ritengono che uno scrutinio popolare metterebbe Atene davanti alle sue responsabilità .
Domenica il portavoce di Syriza ha detto che spera in un accordo da qui a venerdì 22 maggio. In un’intervista alla Bild il ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel (dei Social Democratici) ha rievocato la possibilità di indire un voto popolare sulle eventuali nuove misure di austerity, facendo eco al suo omologo delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. Che aveva detto “perché no” sull’ipotesi di un referendum.
Nel 2011 l’allora primo ministro Georges Papandreou, dei socialisti, aveva proposto un voto simile, ma le autorita europee glielo avevano impedito per non rischiare di fare capitolare il piano doloroso da 130 miliardi.
Come 4 anni fa, anche in quest’occasione, secondo un portavoce del partito di sinistra al potere, un voto sulle riforme è un “gioco pericoloso”. “Ci vogliono 12-20 giorni per organizzarlo”, spiega la fonte. “Sui mercati sarebbe il panico e si tornerebbe a speculre sull’uscita della Grecia dall’area euro, il che indebolirebbe il nostro già fragile settore bancario”.
(DaC)