ROMA (WSI) – Alan Greenspan è stato presidente della Federal Reserve per tanti anni, esattamente dal 1987 fino al 2006. Qualcuno potrebbe chiedersi se sia stato anche il più grande banchiere centrale dei tempi moderni. Alcuni economisti, nonché premi Nobel, come Paul Krugman e George Cooper hanno studiato l’impatto della sua egemonia di lungo corso. Risultato? Hanno osservato che è stato lui a inaugurare la stagione del denaro a basso costo fra il 2000 e il 2006, sottolineando come questa sia stata fra le cause odierne dell’attuale crollo finanziario.
Qualche trader avverte che siamo di nuovo in pericolo. Mentre l’Europa arranca e il Giappone sta lottando per uscire dalla recessione, l’America sembra essere l’unica ad aver voltato pagina (non del tutto, però, visto che i dati sono spesso contrastati).
Basta dare un’occhiata alla performance degli indici di Wall Street per accorgersi che la scorsa settimana il Dow Jones Industrial Average ha chiuso sopra quota 15.000, mentre il FTSE 100 ha scambiato oltre 6500 punti, in vista del massimo storico a 6930 punti raggiunto nel 1999. Nel frattempo, il Nikkei è salito di oltre il 60 per cento negli ultimi sei mesi.
Ma i fondamentali economici supportano questi rialzi? “Forse gli Stati Uniti, dove le statistiche ogni mese che passa indicano che il paese ha imboccato la strada della crescita. Ma in Europa i problemi dell’euro non sono scomparsi, il Regno Unito è alle prese con problemi di ogni genere. Il Giappone ha chiesto l’intervisto dell’Abenomics per cercare di uscire dal tunnel della crisi”, osserva il Professore Moorad Choudhry della Brunel University.
Come dire: nessuno si lascia ingannare pensando che la corsa dei listini sia dettata davvero dai fondamentali economici. Choudhry osserva che l’aumento dei prezzi azionari è dovuto quasi esclusivamente all’azione della Banca centrale.
Continuando a cavalcare la politica dei bassi tassi di interesse, l’allentamento monetario e gli acquisti di titoli di Stato i listini si sono apprezzati, anche se le cattive notizie in giro abbondano. Se, infatti, prima erano solo la Fed, la Bank of England e la Banca centrale europea o quella del Giappone a tagliare i tassi, adesso lo stanno facendo tutte nel tentativo di deprezzare le loro valute di riferimento e favorire le esportazioni.
Il professore ricorda che fra il 2009 e il 2010 gli acquisti sul mercato dei titoli governativi è stata una medicina meno amara per affrontare la depressione, ma – avverte – se viene assunta per troppo tempo si trasforma in una stampella che è più difficile da tirare via con il passare dei mesi.
“Mentre i mercati hanno bisogno di camminare con le proprie gambe, adesso qualcuno inizia a ventilare che un possibile inasprimento della politica monetaria potrebbe rimescolare le carte sul tavolo”.
Dal suo desk l’economista conclude osservando che “il paradosso è che se una Banca centrale aumenta i tassi di interesse e sospende le sue politiche monetarie accomodanti dovremmo essere portati a credere che l’economia si è rafforzata, non indebolita”.
Ma il giorno che i mercati rifletteranno questa logica è ancora lontano. “Adesso – chiosa Choudhry- dobbiamo ancora scendere a patti con il circolo vizioso del denaro a buon mercato e lo spauracchio di un nuove bolle insostenibili all’orizzonte”.