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Guantanamo: così l’Italia aiutò gli Stati Uniti in gestione prigionieri

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Roma – “Assolutamente favorevoli, profondamente convinti, perché sulla stessa linea d’onda di Washington”, ma preoccupati dalla “reazione all’interno del Governo del potente e loquace ministro dell’Interno Maroni e della sua Lega Nord, sostenitrice con successo di una linea anti-immigrazione”. Al punto che “se l’Italia potesse accogliere detenuti non pericolosi, questo sarebbe di aiuto”. A Roma, anche una questione internazionale cruciale come lo “svuotamento” della prigione di Guantanamo e la redistribuzione dei suoi prigionieri tra gli Alleati, venne declinata in affare domestico. Con una diplomazia impegnata a compiacere e sostenere l’interlocutore americano, ma prigioniera del ricatto della propaganda leghista e dunque impegnata a non urtarne la “sensibilità politica”. A prendersi insomma la sua parte di responsabilità (sia pure con detenuti “a basso rischio”), ma riducendo ogni possibile turbolenza nella maggioranza.

È quanto raccontano tre cablo dell’ambasciata Usa a Roma, inviati al Dipartimento di Stato il 26 marzo, l’8 luglio e il 4 giugno 2009, nel documentare la trattativa diplomatica che, nel novembre di quell’anno, avrebbe dato semaforo verde alla consegna al nostro Paese di Adel Ben Mabrouk (rimpatriato in Tunisia il 20 aprile scorso dal Ministero dell’Interno con un ordine di espulsione “per ragioni di ordine pubblico e sicurezza”) e Ben Mohamed Riadh Nasri, entrambi cittadini tunisini fino a quel momento detenuti a Guantanamo.

I tre dispacci (che fanno parte del materiale riservato ottenuto da WikiLeaks e sono oggi in possesso dei suoi media partner l’Espresso e la Repubblica) danno la misura della solerzia con cui il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro degli Esteri Franco Frattini e il ministro di Giustizia Angelino Alfano, nel dirsi “in piena sintonia con le decisioni del Presidente Obama” (all’epoca convinto di poter arrivare a una rapida chiusura della galera cubana per “combattenti nemici”), offrirono a Washington non solo la disponibilità dell’Italia ad accogliere i prigionieri di Camp Delta, ma anche a farsi parte dirigente nel convincere i Paesi dell’Ue più riluttanti. Ma i tre cablo, pur nel lodare “l’approccio altamente creativo dimostrato da Frattini nei confronti dell’Ue e sulle questioni poste dal trattato di Schengen”, mostrano anche la consapevolezza della diplomazia americana dell’ostacolo rappresentato nella trattativa dalla Lega, dalle parole di Maroni (in quel momento – avverte Frattini nei suoi colloqui con Washington – “il Ministro dell’Interno paventa un rischio sicurezza per l’Italia nell’accogliere terroristi”) e dunque dell’urgenza di portare a casa un accordo con Roma il prima possibile. Nel dispaccio del 4 giugno 2009, l’Ambasciata scrive infatti: “Sebbene nella telefonata di congratulazioni a Obama per l’elezione il premier Berlusconi abbia offerto il suo aiuto nel risolvere la questione dei detenuti, sarebbe utile che il Presidente (Obama, ndr) nel prossimo incontro con Berlusconi lo ringraziasse per gli sforzi compiuti sin qui, ma si assicurasse un ribadito impegno ad accogliere i detenuti”. Di più: l’Attorney General Eric Holder autorizza la consegna agli italiani dei “file” relativi ai detenuti in predicato di essere trasferiti nel nostro Paese e l’Amministrazione Usa offre anche la possibilità che una nostra “delegazione” possa raggiungere Guantanamo per “colloqui diretti con i prigionieri”, “senza che questo comporti alcun impegno al loro accoglimento”.

La trattativa tra Roma e Washington, come è noto, andrà in porto (i due cittadini tunisini, consegnati all’Italia nel novembre del 2009, saranno arrestati all’arrivo nel nostro Paese perché ricercati in forza di un provvedimento di cattura della magistratura di Milano). Ma le diplomazie dei due Paesi, come documentano i cablo, avevano comunque individuato, attraverso il lavoro degli sherpa dei due ministri di Giustizia (Holder e Alfano) un escamotage. Non potendo trasferire i detenuti attraverso i regolari canali dell’estradizione, Roma e Washington concordarono che l’ostacolo si sarebbe potuto aggirare facendo in modo che i prigionieri prescelti chiedessero volontariamente di essere consegnati al nostro Paese. “Come accaduto per gli 8 trasferiti da Guantanamo in Albania, Paese che avevano indicato, ma con cui non avevano alcun legame”.

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