Una nuova e controversa fase della guerra commerciale fra gli Usa e il resto del mondo è stata annunciata giovedì sera dal Dipartimento del Commercio, che ha proposto l’adozione di una legge che consenta al governo di sanzionare quei Paesi “che agiscono per sottovalutare la propria moneta contro il dollaro, al fine di sussidiare le proprie esportazioni”.
L’iniziativa non sarebbe rivolta solo alla Cina, dunque, ma a tutti i Paesi che scegliessero la svalutazione come strumento di supporto delle proprie esportazioni. Tuttavia, non esistono definizioni accademiche in grado di tracciare una linea che separi la svalutazione competitiva da una normale fluttuazione del cambio. Anche azioni di politica monetaria espansiva, i cui scopi sono molteplici, intervengono indirettamente sul cambio, contribuendo a svalutare la moneta. Non è chiaro, pertanto, in che modo le nuove regole proposte dal Dipartimento del Commercio potrebbero dotarsi di criteri oggettivi per distinguere “chi gioca sporco” e chi no.
“Le nazioni straniere non sarebbero più in grado di utilizzare le politiche valutarie a svantaggio dei lavoratori e delle imprese americane”, ha affermato il segretario del Commercio statunitense Wilbur Ross, “Questa proposta di legge è un passo verso l’attuazione della campagna promessa del Presidente Trump per affrontare pratiche valutarie ingiuste da parte dei nostri partner commerciali”.
La svalutazione, infatti, potrebbe essere una contromisura all’introduzione dei nuovi dazi, in quanto rende più economici i prodotti esportati. Lo yuan, dal giugno 2018, si è svalutato dell’8% sul dollario, erodendo parte dell’impatto dei dazi sui prodotti esportati in America. Sanzionare le svalutazioni, in quest’ottica, sembra una logica conseguenza della strategia della presidenza Trump, benché preannunci possibili contenziosi in sede Wto. Già in passato Donald Trump aveva incluso la stabilità dei cambi come uno degli obiettivi negoziali per la ridefinizione del Nafta, il trattato di libero scambio fra Usa, Canada e Messico.