NEW YORK (WSI) – Alla riapertura dei mercati lunedì, dopo gli attentati di Parigi e le dichiarazioni di escalation della guerra in Siria da parte di Russia e Francia, i titoli azionari delle società legate alla produzione di armi hanno iniziato a correre.
È risaputo, d’altronde, che sono gli incentivi finanziari creati dal settore delle armi, insieme alla caccia alle risorse energetiche, i due fattori principali che spingono i governi a fare la guerra in terre straniere.
Uno studio pubblicato di recente ha evidenziato come le nazioni ricche di risorse petrolifere e di altre materie prime sono un target più appetibile. C’è infatti una chance 100 volte superiore che vengano invasi o bombardati da potenze straniere, specialmente se sono alle prese con conflitti interni o vere e proprie guerre civili come nel caso della Siria.
Il fronte filo governativo vede impegnati insieme al regime la Russia, l’Iran e Hezbollah. I ribelli anti governativi, finanziati da sauditi, Turchia e Giordania, si dividono nell’esercito libero della Siria (una fazione creata da un gruppo di disertori dell’esercito di Assad), dai curdi, dal fronte Al-Nusra, costola di al-Qaida, e dall’ISIS.
Gli Stati Uniti, la Francia e le altre forze della coalizione della Nato hanno cercato di aiutare solo i primi due gruppi citati. Ma non si può dire che l’Isis non sia mai stata aiutata dall’Occidente. Le armi che usa per gli attentati in Europa vengono per lo più dai paesi dei Balcani e dal mercato in nero europeo, mentre nei territori dove lo Stato Islamico ha iniziato a creare lo suo califfato, Siria e Iraq, si serve di armi arrivate anche dalla Libia, dove dopo la caduta di Gheddafi è il caos più totale e dove l’ISIS è presente anche in punti strategici del paese, ricchi di giacimenti di petrolio.
In un documento il think tank anti-terrorismo britannico Quilliam scrive:
la Libia ha immense disponibilità di munizioni pesanti, che sono oggi in mano ai rivoluzionari, senza contare quelle messe da parte da Gheddafi quando era al potere e nelle quali ha sperperato tutti i ricavi derivanti dal petrolio – che ammontavano a circa 30-45 miliardi di dollari l’anno.
Se l’Isis esiste, poi, è in parte colpa degli Stati Uniti e del loro interventismo: l’idea è infatti nata dalle menti di al-Baghdadi e altri futuri terroristi nelle carceri americane del Campo Bucca in Iraq. Segnandosi i rispettivi numeri nell’elastico dei boxer, una volta rilasciati si sono incontrati per mettere su le basi del gruppo di fantatici jihadisti.