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Guerra Hamas-Israele, i riflessi sui mercati. Cosa potrebbe succedere

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I principali listini europei scambiano in ribasso di quasi un punto percentuale. Ad appesantire il sentiment degli investitori sono i nuovi rischi geopolitici, con lo scoppio della guerra tra il gruppo palestinese di Hamas e Israele. L’’attacco a sorpresa di sabato mattina ha fatto scattare i timori degli investitori su una possibile escalation degli scontri in Medio Oriente con il possibile coinvolgimento di più stati. Di questo abbiamo parlato con Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, in un’intervista concessa a Wall Street Italia.

Conflitto Hamas-Israele: quale è il potenziale impatto sui mercati, cosa aspettarsi nelle prossime sedute in termini di reazioni da parte dell’equity e commodity? E quanto potrebbe impattare sui numeri di fine anno?

Ci aspettiamo una volatilità molto elevata caratterizzata da un sentiment risk-off nei prossimi giorni e un impatto sui mercati finanziari sempre più elevato se dovessero essere coinvolti altri Stati. La destabilizzazione del Medio Oriente porta pressioni fortemente rialziste sulle quotazioni del petrolio e spinge gli investitori a rivolgersi verso beni rifugio (obbligazioni, dollaro statunitense, franco svizzero, yen giapponese, oro).

Nonostante la delicata e complessa situazione non riteniamo che si possa ripetere l’embargo petrolifero del 1973 in seguito alla guerra dello Yom Kippur. È importante notare che da allora l’influenza dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) sulla produzione globale è diminuita notevolmente. Inoltre, i colloqui in corso tra Arabia Saudita e Israele per normalizzare le relazioni presentano una situazione diversa rispetto a quella vista nel 1973.

In uno scenario base senza il coinvolgimento di altri Stati nel conflitto Hamas/Israele ci aspettiamo effetti fortemente rialzisti di breve periodo sui prezzi dei beni rifugio.

Nello scenario base non ci dovrebbero essere effetti di lungo periodo. Discorso ben diverso, invece, in caso di aumento dell’escalation con il coinvolgimento dell’Iran nello scontro con i prezzi petroliferi ben sopra i $110 dollari.

Banche centrali e inflazione: in uno scenario in cui le banche centrali ‘predicavano’ la prospettiva “higher for longer” e l’inflazione pur alta stava calando, quanto potrebbe impattare sulle future scelte di Fed e Bce in testa?

L’elevato aumento dei prezzi degli energetici, in particolare il petrolio, potrebbe alimentare le pressioni inflazionistiche generali e aumentare i dubbi su un possibile impatto anche su quelle core nel medio periodo.

Per la BCE crediamo che il debole stato delle economie europee possa spingere l’istituto di Francoforte a mantenere i tassi di interesse invariati. Per la Federal Reserve il discorso è ben diverso visto che i recenti dati macroeconomici (soprattutto quelli sul mondo del lavoro) hanno mostrato segnali di forza.

Riteniamo che in caso di inflazione ancora elevata e con un possibile aumento delle aspettative di inflazione i banchieri del FOMC propenderanno per un nuovo aumento del costo del denaro entro fine anno.