Mercati

Guerra Hamas-Israele, il petrolio si infiamma

Questo fine settimana il gruppo palestinese Hamas è entrato a sorpresa in Israele sferrando un attacco senza precedenti che ha causato migliaia tra morti, feriti e prigionieri. Questo ritorno delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente è monitorato attentamente anche dai mercati che sono tornati a mostrare una certa debolezza, mentre al contrario sono balzati i prezzi del greggio e di asset rifugio come l’oro e il dollaro.

Petrolio si infiamma a causa delle tensioni

Lo scoppio del conflitto in Israele, oltre alle drammatiche conseguenze umanitarie, rischia di avere profonde ripercussioni anche sul prezzo delle materie prime energetiche, a partire dal prezzo del petrolio.

Così come successe con lo scoppio della guerra russo-ucraina, l’attenzione si è spostata in queste ore proprio sul prezzo del petrolio che stamattina ha avviato le contrattazioni in rialzo del 4% (per poi rallentare a +2%) trovandosi così a quota 87 dollari al barile (Brent).

In ogni caso il prezzo del Brent, con il crollo del 9% di settimana scorsa, si mantiene comunque sui livelli di inizio settembre, anche se una potenziale escalation e allargamento del conflitto nei prossimi giorni potrebbe innescare un nuovo shock sui prezzi del greggio. Ricordiamo che quest’estate il prezzo del petrolio si è avvicinato nuovamente ai 100 dollari al barile, per poi invertire la tendenza approdando settimana scorsa a 83 dollari al barile.

“Questi eventi (conflitti) tendono ad avere solo un impatto a breve termine sui mercati finanziari, ed è probabile che questa volta accada lo stesso”, commenta Kyle Rodda analista di mercato senior presso Capital.com. “Gli investitori potrebbero essere nervosi per un paio di giorni fino a quando i rischi di escalation sono chiaramente diminuiti”.

Fino ad ora quindi non sorprende più di tanto il movimento al rialzo del petrolio in quanto il mercato è tornato a scontare un premio per il rischio a causa dell’incertezza del conflitto.

L’area della striscia di Gaza non è famosa per la produzione di petrolio, infatti, Israele non è un grosso produttore di petrolio e quindi da questo punto di vista lo scoppio del conflitto nell’area avrà un impatto minimo su quella che è l’offerta di greggio della zona.

Tuttavia, bisognerà vedere le implicazioni di queste tensioni sugli equilibri già fragili nell’intero Medio Oriente, con gli operatori occidentali che sono preoccupati che il conflitto possa diffondersi e questo crea tensioni sui prezzi.

“Qualsiasi espansione del conflitto avrà potenziali ripercussioni sui mercati petroliferi”, si legge in una nota di Citi Investment Research.

Le conseguenze di un’escalation in Medio Oriente

In questo contesto, lo speciale osservato è l’Iran, che nonostante le sanzioni occidentali degli ultimi anni rimane uno dei maggiori produttori di petrolio del Medio Oriente. Da questo punto di vista, secondo alcuni rapporti dell’intelligence, il Paese potrebbe aver appoggiato il gruppo palestinese di Hamas e se questo fosse dimostrato ecco che gli Usa, alleati insieme agli altri paese occidentali con Israele, potrebbe assumere una posizione dura nei confronti dell’Iran, e ciò potrebbe portare a una riduzione della fornitura di petrolio, con conseguente shock sull’offerta.

In ogni caso il Golfo Persico rimane un punto di transito fondamentale per il greggio, infatti, quasi un barile su cinque delle forniture globali di petrolio passa da qui, soprattutto verso l’Asia.

Ricordiamo inoltre che negli ultimi mesi, Biden ha attenuato le sanzioni contro l’Iran in modo da incoraggiare il Paese a rallentare il suo programma nucleare, ma adesso è probabile che gli Usa tornino ad inasprire nuovamente le sue sanzioni.

Occhi puntati sullo stretto di Hormuz

In tema petrolio, occhi puntati sullo stretto di Hormuz, la lingua di mare che collega il Golfo Persico al Golfo dell’Oman e, da questo, al Mar Arabico. Lo stretto di Hormuz in questo contesto di tensioni in Medio Oriente assume un’importanza sostanziale, in quanto rappresentala la principale arteria per il trasporto di petrolio e di gas a livello mondiale. Ecco che un’escalation del conflitto contro Teheran potrebbe mettere in pericolo il passaggio delle navi proprio attraverso lo Stretto di Hormuz, uno stretto che più volte l’Iran ha minacciato di chiudere.

Analisi tecnica sul Brent

Dopo aver raggiunto i massimi di periodo a quota 95 dollari al barile, il prezzo del Brent da fine settembre ha invertito la tendenza perdendo da quei massimi oltre l’8%. Questo calo del prezzo del petrolio è dovuto in parte alla recente crescita a sorpresa della produzione di petrolio di diversi paesi, tra i quali alcuni membri dell’Opec.

Ma non solo, il recente calo del petrolio può essere spiegato anche dalla continua debolezza della crescita economica cinese, ma anche gli alti tassi di interesse che hanno alimentato le preoccupazioni sulla crescita sia in Europa che negli Stati Uniti.

Tuttavia, adesso lo scoppio del conflitto in Israele ha infiammato nuovamente le quotazioni del greggio che stamani ha aperto in gap rialzista. In caso di proseguimento del rialzo i livelli più importanti di resistenza si trovano sui precedenti massimi a quota 95 dollari, mentre i supporti più importanti sono in area 84-85 dollari.

Se nelle prossime ore si dovessero sciogliere le tensioni in Medio Oriente, il prezzo del Brent potrebbe tornare a sgonfiarsi sulla scia di quanto si stava già verificando la settimana scorsa.

[/media-credit] Andamento da luglio del prezzo del Brent

Balza il prezzo dell’oro

In rialzo il prezzo del bene rifugio per eccellenza, l’oro, che stamane ha avviato le contrattazioni in rialzo di oltre l’1,2%.

“Questo è un buon esempio del motivo per cui le persone hanno bisogno dell’oro nei loro portafogli. È una copertura perfetta contro le turbolenze internazionali”, ha affermato Peter Cardillo, capo economista di mercato presso Spartan Capital Securities.

In aumento anche il biglietto verde che al momento scambia in rialzo dello 0,4% nei confronti dell’euro.

Opec rivede le stime sulla domanda

Intanto, questa mattina l’Opec ha aumentato le previsioni sulla domanda globale di petrolio fino al 2045 e questo nonostante la crisi climatica. In tal senso, secondo il cartello, il consumo di petrolio aumenterà del 16% nei prossimi due decenni raggiungendo i 116 milioni di barili al giorno nel 2045, circa 6 milioni al giorno più di quanto precedentemente previsto.

A guidare la crescita saranno i trasporti stradali, i prodotti petrolchimici e l’aviazione, con l’India che rappresenterà la maggiore espansione di produzione, seguita dalla Cina.