Economia

I banchieri italiani bacchettano BCE e imprese per la gestione del rischio inflazione

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Come la BCE ha sbagliato a non prevedere gli effetti di un’inflazione persistente, definendola addirittura transitoria, allo stesso modo si rischia di non prevedere gli effetti della terapia, cioè di una politica monetaria restrittiva con rialzi dei tassi. Questo perché si dimentica la preziosa lezione di Banca d’Italia, che riuscì dagli anni ‘80 ad agire sulle aspettative di inflazione prima che sui tassi. Contro l’inflazione bisogna sì aumentare i tassi, ma la rapidità dei rialzi ha sorpreso tanti, comprese le banche, figuriamoci chi non era preparato. E potrebbe non bastare a causa degli effetti speculativi sui prezzi” ha dichiarato Antonio Patuelli, Presidente di Abi, durante il 22esimo congresso nazionale della Fabi, la Federazione Autonoma Bancari Italiani (il sindacato più rappresentativo in Italia del settore del credito), bacchettando prima la BCE e poi le imprese italiane che non hanno saputo gestire il rischio inflazione ampiamente previsto.

Secondo Patuelli, infatti, molte aziende si erano abituate “ai tassi a zero e avevano addirittura redatto i loro piani pluriennali sottovalutando il fattore costo del denaro, anzi pensando che questa situazione, realisticamente inconsueta e temporanea, sarebbe durata per sempre. Con la ripresa dell’inflazione è più che naturale che la parte eccedentaria dei depositi in conto corrente sia da un lato utilizzata per far fronte ai rincari dei consumi dall’altro sia indirizzata verso vere forme di investimento finanziario o industriale, come i certificati di deposito e le obbligazioni, più capaci di fronteggiare i rischi dell’inflazione per i risparmi. Un trasferimento a favore non solo delle banche ma anche delle imprese in generale“.

Il banchiere quindi ha implicitamente risposto a chi si interroga sul perché i tassi attivi sui conti correnti bancari non abbiano seguito proporzionalmente gli aumenti dei tassi da parte della BCE, come invece avvenuto per i prestiti. I conti correnti hanno infatti DNA di deposito non di investimento, come indica il termine corrente stesso. A proposito di questi ultimi, Patuelli ha anche affrontato il tema dell’adeguamento dei tassi sulla raccolta: “non sono cresciuti solamente i tassi di interesse delle Banche Centrali e quelli sui prestiti, ma anche i tassi sulle varie forme di investimento della liquidità. Infatti, le banche commerciali sono inevitabilmente competitive, nelle offerte dei rendimenti per forme di investimento finanziario a medio e lungo termine, con i tassi sui titoli di Stato. Basti pensare che, ad aprile, la media dei tassi di interesse in Italia sui depositi con durata prestabilita era cresciuta al 2,3%, superiore all’1,85% della media nell’area dell’euro. Ad aprile in realtà anche la remunerazione media, evidentemente più limitata, dei depositi nei conti correnti in Italia era cresciuta allo 0,29%, superiore alla remunerazione per similari conti presso operatori non bancari ed anche superiore allo 0,26% della media dell’area euro. La soluzione va quindi cercata nel rinnovo dei contratti di lavoro. Le banche devono essere capaci di restituire alla clientela una parte di quei benefici dell’aumento del costo del denaro, alzando i tassi d’interesse sui conti correnti”, ha concluso perentorio Patuelli, facendo riferimento proprio all’obiettivo ultimo del convegno, il rinnovo del contratto dei bancari.