Questo articolo è uscito nel numero di aprile del magazine Wall Street Italia
Di Sandra Riccio
I Big data, l’enorme mole di informazioni da memorizzare, aggregare, analizzare e rielaborare per migliorare il business e il rapporto con i clienti, avanza a passo spedito. Nei prossimi anni la crescita esponenziale di questa nuova miniera d’oro sarà ulteriormente alimentata dai multimedia, dal permanente utilizzo degli smartphone e dal grande bacino dei social network. Allo stesso tempo però sta facendo passi in avanti anche la tecnologia da applicare a questo fiume di informazioni. Si prepara quindi un’ondata di cambiamento ancora più grande di quella vista sinora.
Questo anche grazie a macchine che hanno capacità mai viste prima d’ora come, per esempio, quella di pensare, quella di risolvere problemi o quella di capire un’altra lingua. “La convergenza di masse di dati sempre più grandi e di tecnologie sempre più avanzate sta alimentando rapidi cambiamenti – spiega Paolo Gianturco partner di Deloitte e responsabile per il FinTech -. Certo è che la gran parte delle aziende sta catturando soltanto una frazione del valore potenziale dei dati e degli analytics”. Il processo è solo ai primi passi e il margine di miglioramento è elevato.
Applicazioni per banche e assicurazioni
Anche il settore della finanza e delle banche approfitterà di questa nuova rivoluzione. In particolare potrà arrivare a un miglioramento dei risultati e a un contemporaneo taglio dei costi. In alcuni ambiti, già si vedono i risultati. Questo nonostante il settore non sia stato tra i primi ad aver imboccato la strada dei Big data.
A muoversi in anticipo e ad avvantaggiarsi del maggior progresso con la grande massa di informazioni sono stati settori come quello dei servizi basati sulla localizzazione e quelli della vendita al dettaglio. Si tratta, in entrambi i casi, di aree che hanno avuto concorrenti nativi digital come Google e Amazon. Al contrario, i servizi finanziari, il manifatturiero, il pubblico, e la sanità hanno catturato solo una piccola parte dei vantaggi, meno del 30% del valore potenziale.
C’è ancora parecchia strada da fare. “I più grandi ostacoli che le aziende devono superare per estrarre valore dai dati e per realizzare efficienti analytics sono di stampo organizzativo: molti lottano per incorporare il valore aggiunto dei dati nei processi day-by-day – aggiunge Luigi Mastrangelo partner di Deloitte ed esperto Emea su tematiche Big data-. Un’altra sfida è quella di attirare nuove figure data scientist che sono in grado di combinare competenze di analisi dei dati a competenze funzionali”.
I benefici sono diffusi
I settori e le aziende che oggi sono in grado di sfruttare in modo efficace queste funzionalità, in futuro saranno in grado di creare un valore significativo e differenziarsi. Gli altri si troveranno sempre in svantaggio. Per il settore della finanza e delle banche, i benefici apportati dai Big data sono, per fare un esempio, una realtà in processi come quello della creazione di nuovi stream di reddito.
Significa che sfruttare le conoscenze generate dai dati consente un aumento dei ricavi e dell’efficienza operativa. Ne è un esempio la maggiore segmentazione della clientela per raggiungere le esigenze specifiche del singolo. Oppure l’analisi delle abitudini in rete che consente di arrivare a proposte mirate, tagliate sulle preferenze del cliente. Se il cliente ama i ristoranti stellati, sarà più facile proporgli una carta di credito che prevede sconti nei locali più di prestigio.
“È solo uno degli innumerevoli esempi della vasta gamma di possibilità che offre il nuovo mondo dei Big data” dice Mastrangelo. Le tecnologie Big data permettono architetture tecnologiche scalabili e più efficienti che consentono anche di minimizzare i costi. L’esperto racconta che una delle più importanti banche europee, con l’implementazione e l’utilizzo dei Big data ha ridotto l’operational time to market, passando da tre giorni per il caricamento dei dati a tre ore appena.
In conclusione Big Data è un dato di fatto per tutte le grandi aziende. Un’indagine pubblicata l’anno scorso ha raccolto le prospettive del settore da un piccolo ma influente gruppo di dirigenti: i CIOs, CDOs e alti dirigenti di imprese nella Fortune 1000 list. Tra i risultati emerge che, se nel 2012 soltanto il 5% delle imprese disponeva di Big data in produzione, appena tre anni dopo, nel 2015, questo livello era esploso al 63%. Inoltre il 63% delle imprese si aspetta di investire più di 10 milioni di dollari nei Big data entro quest’anno. Il 40% in più di quanto previsto nel 2012.