(WSI) – Nella Confindustria del dialogo i sorrisi sono diventati molto più tirati. Nessuno ha voglia di fare bilanci, anche se è evidente che la linea Montezemolo affronta la prima vera crisi, per ora solo di entusiasmo.
La verità è che nonostante le aperture formali è evidente che né il sindacato (soprattutto la Cgil) né il governo fanno «gioco di squadra». La garbata (troppo garbata, secondo alcuni) protesta del direttore generale, Maurizio Beretta, sul taglio degli incentivi non rende esattamente l’idea di quanto questa misura sia invisa agli imprenditori: «I tagli – ha detto ieri Beretta alla commissione bilancio della Camera – sia pur necessari, destano preoccupazione. Il provvedimento adottato per gli incentivi destinati a chi investe nel Mezzogiorno o nelle aree sotto utilizzate rappresenta un problema non irrilevante per il sistema delle imprese».
Gli imprenditori si sa, ragionano con il portafoglio e, proclami di rilancio a parte, per ora devono contabilizzare subito 750 milioni di euro d’incentivi in meno per finanziare la legge 488 di qui a fine anno a causa della manovra correttiva (e in qualche caso si tratta anche di programmi d’investimento che già hanno ottenuto tutte le autorizzazioni ed erano stati messi a bilancio). Per il futuro c’è la promessa di una razionalizzazione che significa ulteriori riduzioni e la trasformazione di tutti gli stanziamenti a fondo perduto in prestiti a tasso agevolato emessi da un fondo rotativo.
Ma non è l’eventuale smantellamento del regime assistenziale che preoccupa, visto che gli stessi imprenditori lo avevano richiesto, quanto il rischio di non aver voce in capitolo nella sua rimodulazione. «Un euro in meno d’incentivi per ogni euro in meno di tasse», aveva proposto il 23 giugno lo stesso Montezemolo di fronte all’allora direttore generale Domenico Siniscalco, arrivarono gli applausi nell’auditorio di via dell’Astronomia, e nulla più: la riforma fiscale è ancora tutta spostata sull’Irpef – cioè su tutti i redditi finali – piuttosto che sull’Irap che attiene solo alle imprese.
Il pericolo è duplice: un trasferimento di denaro che prima sosteneva l’industria a favorire i consumi finali e un nuovo sistema d’incentivi imposto dall’alto con criteri che non piacciono agli imprenditori. Non è un caso che ultimamente nelle dichiarazioni dei vertici dell’associazione degli industriali è emerso lo scetticismo sulla possibilità che ci siano i margini per tagliare le tasse. Una professione di sano realismo che nasce però anche dalla convinzione che se la riforma alla fine si farà, difficilmente riserverà un trattamento di riguardo alle imprese.
Qualche nostalgico damatiano fa notare perfidamente che se ci si professa troppo bipartisan alla fine qualche prezzo si paga, ricordando che l’idea del fondo rotativo che sostituisse gli incentivi della 488 Tremonti lo propose già nel 2002, trovando la ferma opposizione dell’allora presidente – uno dei pochi casi si divergenza con il governo – e infatti l’operazione si bloccò.
Insomma la vecchia Confindustria di cui Epifani teme il ritorno, per ora si limita a gongolare grazie anche alla stessa Cgil, che sul fronte della concertazione ha costretto Montezemolo a un nulla di fatto. La discussione sulle nuove forme di contrattazione è rimandata all’autunno, ma non solo le tensioni tra i tre sindacati confederali rendono le trattative molto lunghe e difficili, ma in questo modo rinnovi contrattuali importanti come quello dei metalmeccanici vengono lasciati privi di regolamentazione (visto che gli accordi del ’93 non li riconosce più nessuno).
E non sono pochi gli imprenditori che si aspettano richieste salariali esorbitanti e non sostenibili, con la conseguente stagione di scioperi a colpire aziende che già non scoppiano di salute. È lo scenario peggiore, ma non il più improbabile: dove la ragionevolezza messa in campo dopo tanti anni dagli imprenditori finisce fatta a pezzi da radicalismi assortiti: dal populismo fiscale della maggioranza fino alle utopie della sinistra sindacale.
Sempre più gli imprenditori chiederanno a Montezemolo di salvaguardare i loro interessi piuttosto che fare gioco di squadra per lo sviluppo del Paese. È finita la luna di miele: l’opera di modernizzazione che questo nuovo corso si è data come obiettivo comincia adesso, tra mille difficoltà.
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