L’anticonformismo è un tratto caratteristico del marchio di gioielli milanese. A raccontarlo è la ceo Sabina Belli
A cura di Margherita Calabi
Il mondo della gioielleria può avere dei canoni piuttosto conservatori. Non per Pomellato: l’anticonformismo è infatti un tratto caratteristico della personalità orgogliosamente milanese del marchio. I colori sono giocosi, il design imprevedibile e i gioielli sono oggetti che le donne acquistano per sé, come gesto di autogratificazione. A raccontarlo è Sabina Belli (nella foto in alto), ceo del brand dal 2015.
La storia. Pomellato nasce nel 1967, in un periodo che ha fatto da cerniera tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ‘70, una nuova era che ha visto cambiamenti fondamentali non solo sociali e politici, ma anche dal punto di vista della rappresentazione estetica. “Fino a quel momento l’attitudine femminile era legata a determinati principi: ci si vestiva in un certo modo a seconda dell’occasione, si ricevevano in eredità i gioielli di famiglia, mentre i mariti facevano il regalo di nozze e quello per la nascita di un figlio. I gioielli venivano indossati per le occasioni molto speciali: si andava in banca a prendere il collier importante per andare a sentire l’opera alla Scala”, spiega la manager. Con la rottura sessantottina dei canoni fissi del mondo borghese, il fondatore Pino Rabolini ebbe la visione di disegnare un gioiello per una nuova donna, libera dalle tradizioni, che scopriva anche il prêt-à-porter. “Si facevano i primi viaggi verso l’Oriente, la Cina, l’India, il Marocco. Si portavano i kaftani, i sandali, i capelli sciolti. C’era bisogno di un gioiello più informale, più colorato, più fashion. Ancora oggi, 50 anni dopo [il brand ha festeggiato il 50° anniversario nel 2017, ndr], continuiamo a offrire alle donne un gioiello quotidiano, facile, che si possa mettere di giorno in ufficio, ma anche di sera”.
La boutique Pomellato in via Montenapoleone 17 a Milano
Le collezioni. Ci sono dei grandi classici che sono dei temi sui quali capitalizzare e costruire la propria reputazione. Negli anni Pomellato ha identificato i simboli che hanno creato la fama del brand, come le collezioni Nudo, Sabbia, M’ama Non M’ama e ha deciso di continuare a svilupparle, arricchirle, animarle. Ogni anno, poi, il marchio milanese lancia una novità e talvolta un piccolo “blink” divertente e spiritoso. Quest’anno il protagonista è Orsetto, nato nel 1989, uno dei gioielli simbolo della storia di Pomellato. “La collezione Orsetto, così come gli altri personaggi del marchio, era piena di humour e molto all’avanguardia. Abbiamo voglia di rendere omaggio a questi elementi del passato che sono ancora oggi estremamente attuali”.
Charm Orsetto in oro rosa e diamanti
Anelli Nuvola in oro rosa Fairmined e diamanti
Anelli Iconica in oro rosa o bianco e diamanti
Il destino. La storia di Sabina Belli con Pomellato sembra essere legata al fato: uno dei suoi primissimi gioielli, negli anni ’80, è stato l’anello Griffe, un’acquamarina ovale del brand. Anni dopo, al seguito di una promozione importante, Belli si fermò nella boutique Pomellato in rue du Faubourg Saint-Honoré e si regalò due anelli Nudo, che il marito ha poi completato con un terzo. “Ho indossato questi tre anelli per anni. Ho avuto anche un anello Vittoria, quadrato e nero, bellissimo. Se si crede un po’ al destino, forse c’era già qualcosa che mi preparava ad arrivare qui”, sorride. Belli ha indossato così tanto quel suo primo gioiello che un giorno un’amica le disse: quando penso a te, penso al tuo anello. Un aneddoto che serve a comprendere la fortissima relazione tra il marchio e le sue clienti. “Il nostro gioiello funziona perché c’è un connubio tra un design e uno stile che tocca una certa tipologia di donna: indipendente, autonoma, che lavora, con un look ben definito”. E il posizionamento del prezzo di questi gioielli li rende accessibili anche come auto-acquisto, senza dover dipendere dal principe azzurro. “Una donna che si compra un gioiello per gratificarsi è formidabile. È una forma di investimento emotivo”.
Una manager al timone. Sabina Belli è il primo ceo donna del brand, porta al gruppo un ricco know-how e una nuova prospettiva femminile. Le sue missioni? Sviluppare il business dal punto di vista di volumi, share of market e profitti; ma anche la responsabilità del management, una visione e la voglia di metterla in pratica. La terza poi è una responsabilità personale: Belli si sente depositaria della grande eredità del brand e vuole assicurare, come minimo, altri 50 anni di crescita.
La campagna Pomellato for Women. Le donne che scelgono Pomellato hanno una forte personalità, non hanno bisogno di essere convinte da una star o da una modella per acquistare un gioiello. Per questo, il marchio ha lanciato la campagna PomellatoForWomen, scattata dal grande fotografo Peter Lindbergh. Ritratti immediati, naturali, in bianco e nero che rappresentano donne con storie di successo come Chiara Ferragni, brand ambassador nel 2018. “È la prima donna italiana a essere non solo tra le più importanti influencer al mondo, ma anche una vera imprenditrice. È interessante la dinamica nuova e moderna di come si è costruita questa personalità decisa ed eclettica”, rivela la manager.
Chiara Ferragni ritratta da Peter Lindbergh per la campagna PomellatoForWomen 2018
L’etica. La sostenibilità è un dovere quotidiano in Pomellato così come lo è per Kering, il gruppo proprietario del marchio che ha innalzato questo tema a livello delle grandi priorità strategiche. Oggi le collezioni del brand sono realizzate in oro responsabile e in una speciale lega di oro rosa. “Per la prima volta la nostra linea Nuvola è stata realizzata in oro rosa Fairmined, con diamanti che derivano da fornitori certificati RJC (Responsible Jewelry Council). Il nostro obiettivo è di raggiungere il 100% di acquisti anche per l’argento”. Il marchio si sta anche focalizzando sulle pietre di colore e sta portando avanti un progetto sul mondo delle gemme naturali con un’operazione dedicata a implementare una regolamentazione più formale.
Collane Nudo in oro rosa con topazi blu o bianchi e diamanti
Qualche numero. Il brand conta 61 tra flagship store e boutique in franchising nel mondo – le ultime aperture sono state quelle di Londra (New Bond Street), Los Angeles (Rodeo Drive) e Parigi (al 350 di rue Saint Honoré) che prendono ispirazione dal design della boutique di Milano, in via Montenapoleone 17, realizzata con Dimore Studio – e circa 500 rivenditori worldwide. In azienda, una ex fabbrica di cioccolato a sud di Milano rilevata nel 2007, 100 maestri artigiani studiano ogni giorno soluzioni innovative. “Abbiamo collaboratori che sono entrati quando il marchio è nato. Ora dobbiamo preparare le generazioni del futuro”.
A questo proposito, il brand ha creato l’Accademia Virtuosi Pomellato con la scuola professionale Galdus, dove i suoi grandi maestri orafi formano i giovani apprendisti. “Il nostro programma è riconosciuto dallo Stato, abbiamo una partnership con la regione Lombardia e abbiamo ricevuto delle sovvenzioni per poter qualificare questo mestiere con un diploma professionale”, dichiara Belli. Tra un gioiello finito a mano e un gioiello industrializzato si vede la differenza: “Pomellato deve proteggere le sue forme sensuali, organiche, che per noi sono una forza estrema. Sono convinta e determinata a proteggere e a continuare questa expertise”.
L’interno della boutique di Los Angeles in Rodeo Drive
La leadership al femminile. Come si fa il bilancio di 35 anni nel settore del lusso? Con un passato in Bulgari, Christian Dior Parfums e LVMH Moët Hennessey, il ceo di Pomellato ha riassunto le tappe fondamentali della sua carriera nel libro D come Donna, C come Ceo, un dizionario di parole chiave dedicate a tutte le donne imprenditrici (i cui diritti d’autore sono devoluti all’associazione CADMI, Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate). “Quello che ho osservato è che nell’espressione femminile c’è più intuizione, più empatia, più dimensione d’ascolto. Il metabolismo di una riunione al femminile è diverso da una riunione al maschile. Non so quale sia la migliore. So però che nel management femminile c’è più humour, relax e leggerezza”, racconta Belli. E conclude, “cerco di trasmettere al mio team la volontà di raggiungere gli obiettivi con motivazione, efficienza, professionalità e di farlo in modo piacevole e soddisfacente. Nella mia carriera, non so quanti dei miei capi avessero questa priorità. Nelle start-up, ad esempio, c’è una volontà maggiore di portare un lato umano al business, mentre nelle strutture gerarchiche si è ancora poco disponibili. Lo considero anche uno sviluppo naturale del modo di lavorare: non si può più lavorare in un’organizzazione piramidale, bisogna farlo in un sistema a cerchio dove la conoscenza è condivisa”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.