Roma – Se cerchi “Luigi Bisignani” nell’archivio del sito web dell’agenzia Il Velino, compaiono solo citazioni nelle rassegne stampa. Mai una notizia su di lui. E, sapendo quanto il super-lobbista ami la discrezione, questa è un po’ la certificazione della sua influenza sull’agenzia diretta da Lino Jannuzzi.
Chi conosce le dinamiche del potere romano giura che Bisignani, privo di rapporto formale con Impronta srl che edita Il Velino, non guadagni un euro dall’agenzia. Ma la possa esibire come un sofisticato biglietto da visita, uno strumento indispensabile nella gestione delle relazioni che sono il bene più prezioso per chi si muove tra politica e affari.
È questo patrimonio di rapporti che Luca Simoni rileva quando diventa socio di maggioranza dell’agenzia, dopo che l’editore storico Stefano De Andreis aveva dovuto vendere in fretta e furia le sue quote per ragioni finanziarie. De Andreis è un ex giornalista, amico di Bisignani da quando erano giornalisti dell’Ansa, anche lui ex piduista (tessera numero 939).
Le sue quote passano per le mani di Daniele Capezzone e dell’avvocato Marco Drago (un consulente della Farnesina) prima di finire quasi per intero a Luca Simoni, che ora ne detiene l’80 per cento. Il 20 è in mano a una società che si chiama Promec. Simoni, 45 anni, non è un giornalista ma adesso, oltre a fare l’amministratore delegato e presidente di Impronta, fa il direttore editoriale, con una forte attenzione ai contenuti dell’agenzia che, formalmente, è di nuovo guidata dal suo storico direttore, l’83enne Lino Jannuzzi.
Ma Simoni è soprattutto un imprenditore attivo da anni nel sottobosco romano, è legato da tempo al parlamentare Pdl Mario Baccini che, da sottosegretario agli Esteri, lo aveva nominato nel consiglio dell’Istituto Italo-Latino Americano. Simoni conosce il Sud America anche per aver lavorato in quelle zone con Donatella Zingone (moglie dell’ex primo ministro Lamberto Dini ) sia per aver sposato Gabriela Ana Sergi, rampolla di un’importante famiglia argentina. Il padre Carlos è un ex alto dirigente Siemens il cui nome è stato di recente citato in un’inchiesta su un colossale traffico di droga, una tonnellata di cocaina trasportata via aereo da Buenos Aires a Barcellona.
Da quando Simoni controlla Il Velino, il legame tra l’agenzia e Palazzo Chigi è diventato sempre più stretto. Su un fatturato di circa 3,5 milioni circa, i contributi della Presidenza del Consiglio prima pesavano per 700 mila euro, ora per 2,2 milioni. È vero che Il Velino riceveva molto meno di altri e che il numero di “lanci” è triplicato in pochi anni (ora sono 900 al giorno) ma resta il fatto che il flusso di denaro è cresciuto in modo consistente.
Un piccolo miracolo di cui Simoni si dichiara grato proprio a Bisignani e ai suoi ottimi rapporti con Elisa Grande, la responsabile del dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri considerata molto vicina a Mauro Masi e a Gianni Letta.
Stando all’ultimo bilancio disponibile, quello del 2009, Il Velino è in perdita di circa 50 mila euro. Per il 2010 era atteso un aumento di ricavi di 4 milioni. Si vedrà nel prossimo bilancio.
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Tutto nasce da un bonifico internazionale segnalato dalla Banca d’Italia alla Guardia di finanza e considerato sospetto: cinque milioni di dollari partiti dall’Argentina. Beneficiaria la società di comunicazione Tfgcom, proprietaria dell’agenzia di stampa Il Velino, fondata da Stefano De Andreis, giornalista che risultò iscritto alla loggia P2, e diretta fino al giugno scorso dal portavoce del Pdl, Daniele Capezzone.
Gli inquirenti hanno accertato che i soldi, accreditati il 7 maggio 2010, provenivano dall’imprenditore argentino Matias Garfunkel, famoso in tutta l’America Latina per la sua ricchezza. Proprio in quei primi giorni di maggio Garfunkel si era acquartierato a Roma, nel lussuosissimo Hotel De Russie, a pochi passi da Piazza del Popolo, ma soprattutto a 500 metri in linea d’aria dal quartier generale di Telecom Italia. Garfunkel era deciso a portare a termine un affare colossale: l’acquisto del pacchetto di maggioranza di Telecom Argentina, da decenni in mani italiane.
Sulla vicenda il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, ha aperto un fascicolo. Le indagini stanno portando alla luce un intreccio fittissimo di interessi economici e sponde politiche. Una storia esemplare del funzionamento del cosiddetto “capitalismo relazionale” che, anche con alleanze internazionali, mette nel mirino le grandi aziende pubbliche e private per “spolparle”, secondo una definizione cara al numero uno di Telecom Italia Franco Bernabè. In questo caso lo stesso Bernabè ha subito pressioni, a volte di provenienza sorprendente, che volevano indurlo a vendere Telecom Argentina, da lui considerata un gioiello irrinunciabile.
La vicenda parte a Buenos Aires due anni fa, quando l’Autorità antitrust Argentina ordina a Telecom Italia di vendere entro 12 mesi il suo 50 per cento nella finanziaria Sofora, azionista di maggioranza di Telecom Argentina. Nel 2007 Telefonica de España era entrata nel controllo di Telecom Italia e le autorità di Buenos Aires avevano messo nel mirino la dominanza sul mercato nazionale della possibile tenaglia costituita da Telecom Argentina e dalla controllata spagnola Telefonica de Argentina. Ne è nata una controversia giudiziaria che ha fatto a lungo considerare la cessione della partecipazione italiana inevitabile.
Così credevano anche Eduardo Eurnekiàn, poliedrico imprenditore 78enne di origine armena, noto in Italia per il suo coinvolgimento nel crac della Volare Group, e il suo socio Ernesto Gutierrez, 54enne, uomo considerato potentissimo in Argentina dove guida tra l’altro il sistema aeroportuale attraverso la presidenza di Aeropuertos Argentina 2000. I due, nell’autunno 2009, sono in pista per acquistare da Telecom Italia il prezioso pacchetto Sofora. Bernabè, infatti, mentre si dipana la guerra dei ricorsi con l’Antitrust di Buenos Aires, ha impostato imposta per prudenza la procedura di vendita.
Qui si inserisce il movimento degli italiani. Ai primi di ottobre il sito di gossip argentino Ambito Financero, subito ripreso da Dagospia, segnala la presenza a Buenos Aires del presidente della Commissione trasporti e telecomunicazioni della Camera, Mario Valducci, berlusconiano della prima ora, e di Mario Baccini, ex deputato (Dc, Ccd, Udc, Rosa Bianca per l’Italia, ancora Udc, Federazione cristiani per la libertà e infine Pdl: questo il suo percorso politico conosciuto).
I due politici italiani partecipano a una fastosa grigliata (il tradizionale rito dell’asado) nella villa di Gutierrez. A quanto pare alla festa non partecipa Luca Simoni, intraprendente professionista con tutte le carte in regola per essere invitato: non solo è legatissimo a Baccini, ma è anche genero di Carlos Sergi, uomo d’affari argentino noto per essere stato a lungo a capo della filiale della tedesca Siemens, leader mondiale degli apparati telefonici. Soprattutto Simoni è proprietario del Velino attraverso la Tfgcom, la società beneficiaria del misterioso bonifico.
Il 5 febbraio del 2010 entra in scena Matias Garfunkel Madanes, l’uomo che ha effettuato il bonifico. Ha ereditato prima dal padre e poi dalla madre una fortuna valutata in due miliardi di dollari, e per questo è soprannominato nel suo paese “heredero serial”. In un’intervista al magazine Fortuna spiega di essere entrato in società con Eurnekiàn e Gutierrez (50 per cento lui, 50 per cento gli altri due) per comprare da Bernabè il controllo di Telecom Argentina per 580 milioni di dollari.
Scopre le sue carte in modo un po’ ingenuo: “Telecom Argentina è un gioiello, parliamo di un’impresa importante che si può comprare a sconto”. Nel gergo finanziario significa “per molto meno del suo valore”. La vulgata argentina vuole che nell’affare Eurnekian e Gutierrez ci mettessero le relazioni e Garfunkel i soldi.
Passano poche settimane e, mentre i giornali argentini e italiani danno per imminente la vendita di Telecom Argentina, “heredero serial” rompe la società con Eurnekian e Gutierrez e annuncia che correrà da solo. Il 4 maggio 2010 sbarca in pompa magna in una suite dell’Hotel De Russie, accompagnato, secondo il giornale argentino Perfil, da 15 avvocati e dall’amico e socio Raul Moneta. Con loro c’è un altro noto imprenditore argentino, Jorge Rodriguez detto “el Corcho” (il sughero).
Secondo un resoconto comparso settimane dopo sul blog del popolare giornalista argentino Jorge Asis, le giornate romane sono convulse. Nella hall del De Russie compare Giancarlo Elia Valori, l’uomo che introdusse Licio Gelli ai segreti delle relazioni con l’Argentina di Juan Domingo Peron e del successivo regime dei generali. Si fa vedere anche il senatore Pdl Esteban Caselli, detto “el Cacho” ma anche “el obispo” (il vescovo), sulla cui elezione nel collegio dell’America Latina sta indagando da tempo lo stesso procuratore Capaldo.
E arriva Luca Simoni. Racconterà in seguito “el Corcho” che era a Roma per caso: niente a che vedere con l’affare Telecom Argentina, doveva semplicemente incontrare esponenti di Mediaset, il gruppo televisivo che fa capo a Silvio Berlusconi. “Le chiacchiere sono nate dal fatto che sono amico da molti anni di Luca Simoni, che ha lavorato per il governo italiano e conosce quelli di Telecom Italia”, ha dichiarato il 13 agosto 2010 a Fortuna.
La Procura di Roma sta verificando quanto raccontato dai giornali argentini: Garfunkel avrebbe ordinato il bonifico da cinque milioni di dollari dalla hall del De Russie, attraverso il palmare, pensando di assicurarsi così preziosi sostegni lobbistici romani. Il giornalista Asis definisce l’operazione una “depilazione a secco”: in italiano meglio rende l’idea il verbo spennare.
Sentito dalla Guardia di Finanza, Simoni ha giustificato quel pagamento con un contratto datato 21 gennaio 2010, con cui Garfunkel ha affidato alla Tfgcom un anno di promozione della sua immagine in Italia impegnandosi a pagare anticipatamente i cinque milioni di dollari. La magistratura sta ricostruendo il percorso dei 5 milioni di dollari dopo il transito sul conto della Tfgcom.
Sicuramente ha già accertato che il 26 maggio 2010 dal conto bancario della Tfgcom è partito un bonifico di 390 mila euro in favore di Maria Veronica Lozano, nota conduttrice televisiva argentina e soprattutto fidanzata di Jorge “el Corcho” Rodriguez, il vecchio amico di Simoni che doveva solo incontrare quelli di Mediaset.
A Roma in quei giorni la pressione lobbistica sale alle stelle. In due giorni Il Velino dà cinque notizie su Telecom Argentina. Nei primi cinque mesi del 2010 ha dedicato all’argomento una sessantina di articoli. Il 6 maggio, mentre si riunisce il consiglio di Telecom Italia, il senatore Caselli chiede e ottiene un incontro con il ministro degli Esteri Franco Frattini e gli chiede di prendere a cuore l’imminente cessione di Telecom Argentina.
Il giorno dopo, mentre il bonifico di Garfunkel atterra sul conto della società di Simoni, il viceministro dello Sviluppo economico Paolo Romani (che sarà poi promosso ministro) si spende pubblicamente a favore della nuova rete telefonica nazionale da affidare a una sorta di consorzio di tutti gli operatori: una soluzione che per Telecom Italia è sinonimo di esproprio della rete, e che trova subito l’entusiasta sostegno di Valducci.
Per Bernabè le ripetute sortite di Romani suonano come messaggi in codice. Il braccio di ferro sulla rete è in corso da mesi. Per Telecom Italia il pieno controllo dell’infrastruttura è strategico. Mentre il governo, in consonanza con Mediaset, vuole la soluzione di tipo consortile controllata dallo Stato e quindi orientabile al servizio di interessi particolari. Curiosamente questa linea piace anche a Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca e poi delle Assicurazioni Generali, i due maggiori azionisti di Telecom. Lo scontro tra Geronzi e Bernabè rimane sottotraccia ma è durissimo.
Ne è un esempio il caso di Enrico Mentana, tenuto per un anno a bagnomaria prima della nomina al Tg La7 (proprietà Telecom) per il niet imposto dall’azionista Geronzi dopo che Berlusconi aveva fatto sapere di non gradire. Per mesi gli uomini di comunicazione di Geronzi hanno fatto circolare l’indiscrezione di un imminente siluramento di Bernabè per fare posto a Francesco Caio, consulente di Romani, e prima ancora a Stefano Parisi, vicino a palazzo Chigi ma inciampato nello scandalo Fastweb-Sparkle. Nel settembre 2010, sentito a verbale dalla Procura di Roma proprio nell’ambito dell’inchiesta Fastweb-Sparkle, Bernabè ha riferito di essere stato oggetto di forti pressioni per scorporare da Telecom Italia la rete telefonica.
Torniamo a maggio 2010. Mentre infuria la battaglia Garfunkel non riesce a farsi ricevere da Bernabè, che nelle stesse ore sta trattando riservatamente con la presidente argentina Cristina Kirchner per risolvere il contenzioso con l’Antitrust di Buenos Aires. Gli uomini di Telecom Italia, mentre stringono i tempi per l’armistizio con la politica di Buenos Aires, fanno sapere a Garfunkel che deve rivolgersi alla Credit Suisse, la banca incaricata della procedura di vendita di Telecom Argentina.
Ed è qui che il 38enne ambizioso imprenditore va fuori strada. Dovendo dimostrare di disporre dei capitali sufficienti per trattare l’affare, esibisce a Credit Suisse lettere di credito platealmente e inspiegabilmente, false. In tutto questo non solo uomini politici ma anche esponenti di rilievo dell’azionariato di Telecom Italia, i cui nomi sono al vaglio degli inquirenti, premono su Bernabè perché acceleri la vendita di Telecom Argentina. Il manager rimane perplesso: tutti gli interessati sono perfettamente a conoscenza che svendere quella partecipazione in America Latina costituirebbe un serio danno per l’azienda e quindi per gli azionisti cosiddetti di minoranza, i risparmiatori che detengono il 77 per cento del capitale. Ma i “padroni senza capitali”, come li chiama Bernabè, non sembrano curarsene.
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Telecom, Bernabè presidente
Accordo raggiunto tra i soci italiani di Telco sull’assetto del nuovo vertice di Telecom Italia, in scadenza con l’assemblea di aprile. L’attuale amministratore delegato, Franco Bernabè, sarà presidente esecutivo del gruppo, Marco Patuano amministratore delegato e Luca Luciani direttore generale.
Con il nuovo assetto di governance, Bernabè risulta di fatto un capo-azienda molto forte con poteri più ampi rispetto a prima, come lo è oggi Cesar Alierta in Telefonica. Le deleghe a lui affidate sono: rapporti con le Authority, operazioni straordinarie, finanza, amministrazione e controllo, comunicazione istituzionale.
Amministratore delegato sarà Marco Patuano, attuale direttore domestic market operations del gruppo: a lui sono state affidate tutte le deleghe per l’Italia. A Luciani, oggi numero uno di Tim Brasil, competerà tutta l’area latino-americana. Due macro-aree, quindi, ben distinte con responsabilità ben definite.