ROMA (WSI) – Chi legge abitualmente questa testata sa bene che il debito pubblico è il debito che contrae uno Stato nei confronti di altri soggetti economici – nazionali o esteri (individui, banche, imprese private, altri Stati) – che hanno sottoscritto un credito allo Stato attraverso l’acquisizione di obbligazioni o titoli di stato. Questi ultimi vengono emessi con lo scopo di coprire il disavanzo del del fabbisogno finanziario statale, ovvero il deficit pubblico.
L’insolvenza sovrana – in altri termini, il fallimento – è il rischio a cui va incontro un Paese che contrae un debito pubblico eccessivamente elevato.
Un debito pubblico elevato, inoltre, costringe lo Stato ad attuare politiche di risanamento dei conti pubblici improntate al rigore; un po’ il mantra che il Governo Monti ha ripetuto nell’ultimo anno e mezzo, senza tuttavia essere riuscito a raggiungere alcun risultato tangibile e inibendo contemporaneamente la crescita di un Paese come l’Italia che vive una lunga e durissima parentesi recessiva.
Come è noto, infatti, l’Italia è uno dei Paesi dell’Unione Europea (e non solo) con il debito pubblico più alto in assoluto, contraddistinto da una crescita costante nel corso degli anni.
Il debito pubblico italiano per il 2012 è stimato in 2.017.600 milioni di Euro, pari cioè a circa il 127% del PIL, mentre soltanto l’anno precedente era di poco superiore al 120%.
In Europa peggio di noi nel 2011 hanno fatto soltanto la Grecia (162% del PIL) e l’Islanda (128% del PIL). Il confronto con gli altri Stati europei – e in particolare con la Germania (82% del PIL), la Francia (85% del PIL) e i Paesi Bassi (65% del PIL) – è pertanto disarmante.
Riguardo ai titoli di stato, sappiamo bene che questi sono sottoposti al giudizio delle agenzie di rating.
Già nel 2006 l’Italia ha subito un primo declassamento da parte di Standard & Poor’s con la perdita della “Doppia A” (da AA- ad A+).
Risalgono a maggio 2011, invece, le nuove “attenzioni” riservate dalle agenzie di rating ai titoli di stato italiani. Proprio in quel periodo, infatti, Standard & Poor’s ha tagliato nuovamente il rating dell’Italia da A+ ad A, mentre nel febbraio del 2012 Moody’s ha declassato il debito dell’Italia da A2 ad A3, con outlook negativo.
Ciò ha suscitato non poche critiche nel nostro Paese – sollevate dagli economisti e dallo stesso Governo – e ha spinto Michele Ruggiero, pm della Procura di Trani, ad avviare un’inchiesta per valutare l’affidabilità e l’oggettività delle valutazioni effettuate dalle agenzie di rating.
La crisi scoppiata nel 2008 ha accresciuto i debiti sovrani di molti Paesi dell’Eurozona: Portogallo, Irlanda e Grecia hanno finora evitato l’insolvenza sovrana grazie a prestiti di notevole portata erogati dal Fondo Monetario Internazionale e dall’Unione Europea.
Quest’ultima istituzione, in particolare, si è fatta promotrice del cosiddetto “fondo salva-stati”: un meccanismo che prevede l’emissione di obbligazioni e altri strumenti di debito sul mercato finanziario. Si tratta, insomma, di uno strumento a favore degli Stati in difficoltà che ne fanno espressa richiesta; un congegno nei confronti del quale diversi economisti e commentatori finanziari hanno espresso non poche perplessità.