ROMA – Li ha tenuti sotto scacco per anni, i romani che contano. Poi è inciampato nella gonnella di una signora del Nomentano, 74 anni, pensionata, che per tutta la vita aveva fatto la segretaria. E che oggi, quando le parlano di Gianfranco Lande, esclama: «Una volta ho chiesto diecimila euro e me ne hanno dati novemilaottocento. Le duecento che mancavano mi hanno detto che erano di commissioni. Capisce bene che dopo una cosa del genere sono andata dall’avvocato».
E’ crollato così il castello milionario della Egp di Gianfranco Lande, che oggi si affanna a negare i rapporti con le cosche e con la massoneria: «Il presente procedimento penale trae la propria origine dall’esposto presentato in data 9 ottobre 2009 da Paola V…», si legge a pagina 45 dell’ordinanza di custodia cautelare che lo ha spedito in carcere lui. E lei, Paola V. ci tiene a mantenere un pizzico di anonimato, anche se il suo nome è stato già pubblicato con le liste integrali: «Ma io non volevo comparire», dice adesso.
Ma andiamo con ordine, perché nonostante i suoi 74 anni, la signora Paola ha conservato memoria di ferro e precisione sui dettagli: «Io sono una semplice cittadina, una piccola risparmiatrice che nella vita ha sempre fatto l’impiegata in società private, come la Ifi e la Unicem. Quei soldi erano il corrispettivo della vendita di una piccola casa di mia madre, e per riaverli indietro non sa cosa mi hanno fatto passare».
Già, perché gagliarda com’è, alla fine Paola i soldi se li è fatti restituire tutti, salvo quei duecento euro di commissioni che l’hanno convinta che doveva andare da un avvocato. E poi che accadde? «Che l’avvocato, Stefano Greco, quasi non ci voleva credere. Restammo da lui fino a tarda notte, gli spiegai tutto. Gli dissi che avevo dato questi 140mila euro a Torregiani, perché era un conoscente del mio compagno, così, sulla fiducia. E che per i primi due anni mi presi gli interessi, cinquemila euro ogni volta, poi più nulla. Alla fine volevo riprendere tutto, ma loro cominciarono a dirmi che non era il momento, che c’era la crisi mondiale, che ci avrei perso. E mi rimandavano di un mese all’altro. Fino a che mi dissero che per riavere i soldi dovevo pagare per fare lo scudo fiscale e riportare i soldi in Italia. Ma io mica li avevo mai portati all’estero. Glieli avevo consegnati a Roma e loro se li erano portati chissà dove, mi dissero alle Bahamas. Insomma, il mio commercialista mi disse che non c’era da fare nessuno scudo fiscale e questo dissi a Torregiani».
Poi però cedette: «E certo, altrimenti non mi restituivano». E poi che successe? «Successe che quella sera dall’avvocato, a tarda notte, lui mi disse se me la sentivo di denunciare tutto. Io dissi che certo che me la sentivo. E il giorno dopo andammo all’Intendenza di Finanza. E anche qui tutti rimasero di stucco quando capirono che questi signori raccoglievano denaro e rilasciavano fogli che erano carta straccia».
Intanto Torregiani che le diceva? «Torregiani era uno che ti parlava senza neanche guardarti in faccia, anche se si presentava sempre elegante e beneducato». E non dava spiegazioni neanche al suo compagno? «Guardi, per fortuna lui non ha saputo nulla. Quando questa storia è cominciata lui se n’era andato in cielo. Ho dovuto fare tutto da sola».
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