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Il ‘Partito della Nazione’ di Renzi perde il pezzo Cgil

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ROMA (WSI) – E’ la sfida dei due Pd, quello di Renzi e del ‘partito della nazione’ e quello di ‘lotta e di governo’ che sfila con la Cgil: una sfida complicata, perché manifestare e votare la fiducia è evidentemente una “contraddizione da vivere”, come ammette lo stesso Sergio Cofferati. E, inevitabilmente, rilancia un tema che ciclicamente torna d’attualità, quando si parla di Pd, quello della scissione.

Non subito, non di tutta la minoranza, ma sono in molti a scommettere che qualche addio ci sarà. Stefano Fassina, per esempio, oggi è arrivato a dire che “se costretto” è pronto a votare una sfiducia al governo Renzi, assumendosene la “responsabilità”. Pippo Civati, poi, ha paragonato il premier alla destra Usa.

Lui, Matteo Renzi, non sembra affatto preoccupato, anzi secondo qualche parlamentare vicino al premier quando è stato ipotizzato il “partito della nazione” l’eventualità di qualche uscita è stata messa in conto. Ma Renzi, spiegano, non crede che possano essere in tanti ad andarsene. Ufficialmente, come è ovvio, nessuno della minoranza parla di questo. Rosy Bindi lo esclude esplicitamente: “Io resterò a fare la mia battaglia perchè sono una cofondatrice di questo partito”. Lo stesso vale per Guglielmo Epifani e probabilmente per Cesare Damiano.

Le parole di Fassina, però, sembrano diverse, non solo ipotizza un proprio voto di sfiducia al governo “se costretto”, ma parla di “costruire una piattaforma di incontro tra energie sociali e politiche, indipendentemente dalla collocazione partitica per arrivare a condividere una lettura critica della fase e definire un nuovo progetto per l’Italia e l’Europa”.

Interpellato al telefono, Fassina la mette così: “Questo tema oggi non è all’ordine del giorno, siamo impegnati per correggere la rotta del Pd e del governo che non va e credo che il governo farebbe bene ad ascoltare le proposte che arrivano anche dalla manifestazione di oggi. In direzione vince facile, poi però c’è la realtà”.

[ARTICLEIMAGE] Del resto, quello di Susanna Camusso non è stato semplicemente l’intervento di chi chiede al governo modifiche di merito su punti precisi di un provvedimento del governo: la leader Cgil ha minacciato lo “sciopero generale”, ha tracciato una linea di demarcazione anche dal punto di vista antropologico rispetto a Renzi, “il grande riformatore”, ha rinfacciato al premier l’eccessiva vicinanza con “la finanza” alla Leopolda e ha stroncato la legge di stabilità.

Una vera piattaforma politica alternativa di una sinistra di opposizione e non a caso Nichi Vendola ne approfitta per incalzare: “Gli esponenti Pd sono tutti chiamati a un atto di coerenza. Bisogna stare in piazza con la Cgil ma essere conseguenti in Parlamento. E’ difficile essere solidali con la battaglia importantissima della Cgil e votare lo Sblocca italia, il Jobs act, la manovra finanziaria”.

Lo spazio a sinistra del Pd, però, secondo sondaggi in mano a Renzi è quantificato intorno al 5%, non oltre. Il premier è convinto che alla fine solo in pochi potrebbero davvero tentare questa strada. E in tv spiega: “Sono due anime diverse, assolutamente, ma anche rispettabili. Un grande partito che rappresenta più del 40% ha il dovere di avere opinioni diverse”.

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[ARTICLEIMAGE] «Un po’ troppe bandiere della stessa tonalità», scherzava ieri un sindacalista. Come dire, la piazza di Roma è imponente e d’effetto, ma il colpo d’occhio è un po’ da Corea del Nord.

Bandiere prestampate e distribuite militarmente. Quello della Cgil passerà alla storia come un corteo vintage , nelle forme e persino nelle cifre: quel «milione di partecipanti», al quale nessuno crede (piazza San Giovanni tiene circa 160 mila persone), ma che vuole fare il verso a tempi più fortunati per il sindacato della sinistra. Un corteo pianificato da un’organizzazione che non riesce più a trasformare i suoi sforzi in consensi, secondo l’analisi di Giuliano Cazzola, ex Cgil, oggi Ncd: «È una confederazione da cinque milioni di iscritti ma poi politicamente alle primarie del Pd fa prendere a Cuperlo che la sostiene appena il 20%. Fossi in Grillo ci farei un pensierino».

Difficoltà evidenti già da qualche giorno, quando il segretario Susanna Camusso fece appello «agli iscritti» affinché partecipassero ad una manifestazione vitale per il loro sindacato. Se lo chiede ? questo il ragionamento che si faceva nei giorni scorsi dalle parti di Cisl e Uil ? significa che non riesce nemmeno a mobilitare i suoi. Una confederazione che in piazza porta non la sua vera forza, gli iscritti, ma un mix eterogeneo di immigrati, scontenti, disoccupati. Lo svela un sondaggio effettuato ieri in piazza da Tecné: il 65% dei partecipanti alla manifestazione è costituito da non iscritti alla Cgil, e solo il 37% è un lavoratore con contratto a tempo indeterminato. Il 58% dei partecipanti inoltre ha meno di 44 anni, ha un diploma (48%) o una laurea (16%).

Più facile portare un manifestante a Roma in un sabato di sole che convincere un elettore. Soprattutto se la richiesta è quella di fare opposizione a Matteo Renzi, che nel mondo della sinistra resta il recordman dei sondaggi. Non devono essersene accorti i tanti esponenti della sinistra, soprattutto Pd, che hanno partecipato al corteo nella speranza di essere proclamati generali del popolo Cgil. Dietro lo striscione dei poligrafici dell’ Unità ieri c’erano Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Poi Stefano Fassina, gli ex segretari della Cgil Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani, Rosy Bindi e Antonio Bassolino. Difficile sedurre così grosse fette di elettorato. Il partito Cgil sembra fatto da graduati compiaciuti e poca truppa vera.

Non importa più di tanto a Maurizio Landini, leader Fiom che ha imposto le sue posizioni nella Cgil, sicuro che il corteo dimostri come il governo abbia perso «il consenso di quelli che lavorano». Se è un partito è già a corto di contenuti, visto che l’unica proposta è la solita patrimoniale «sulle grandi ricchezze che va fatta». Così si libererebbero «risorse per posti di lavoro qualificati». Difficile realizzare questo sogno. Nell’immediato resta la mobilitazione per creare un’area che si opponga a Renzi.

Il segreto (di Pulcinella) è che la grande marcia un po’ maoista del 25 ottobre serva a lanciare né una scissione né un partito che tenga dentro Sel, ma una componente del Pd un po’ più strutturata e combattiva. «Ora spero che le varie anime della minoranza Dem trovino una posizione comune anche in Parlamento» perché «non posso sempre essere io ad essere preso come un matto», è sbottato ieri Civati. Per niente facile trasformare un corteo in consensi, ma anche mettere d’accordo le correnti Pd che si oppongono a Renzi. (da Il Giornale)