Roma – Sarebbe interessante sapere la cifra spesa dal Tesoro per la promozione del nuovo titolo di stato, enfaticamente chiamato Btp Italia e offerto dal 19 al 22 marzo 2012. In ogni caso poteva aggiungere due o trecento euro per pagare qualche ora di straordinario a un suo impiegato affinché aggiornasse i dati nei documenti messi in Rete.
In quello che riporta Esempi di Calcolo la data di godimento risulta il 1° marzo. Né è strana un’emissione che contabilmente parta prima. Invece così non è: altrove leggiamo che la data di godimento è il 26 marzo, per cui l’esempio pratico non collima col titolo in questione.
Ma fosse solo questo! A pag. 2 c’è una tabella dove si vede per un semestre una “Rivalutazione del Capitale” di 6,73 e per quello dopo di 13,37; poi di nuovo 6,6 e 13,11 e così via, come se i semestri pari valessero il doppio di quelli dispari. Boh! Se davvero fosse così, dovrebbero dirlo esplicitamente e magari motivare le ragioni di una scelta così “innovativa”.
Descrizione oscura. Sorvoliamo sugli errori di ortografia: è sbagliato “qual’è” con l’apostrofo a pag. 3, come rileva lo stesso correttore di Word. Il vero problema è che dai documenti in Rete il meccanismo del titolo non è chiaro: funziona come i Btp-i o davvero è diverso, come scritto nei comunicati stampa, e cioè liquida l’inflazione passata con le cedole anziché incorporarla nella rivalutazione del capitale?
Vari riferimenti, in particolare al coefficiente d’indicizzazione, indurrebbero alla prima ipotesi, come quando a pag. 2 della Scheda di approfondimento del titolo si legge che “La rivalutazione del capitale nominale sottoscritto e delle cedole avviene attraverso il Coefficiente di indicizzazione (CI)” che è esattamente come per i Btp-i. Sviscerando i vari documenti si arriva però alla seconda interpretazione.
Al che uno può dire: “Sei tu, Beppe Scienza, che sei cretino e hai difficoltà a capire”. Giudicherà ugualmente scemi i vari gestori che mi hanno espresso le stesse perplessità, che essendo amici miei saranno idioti anche loro. Però dovrà attribuire la patente di imbecilli pure a quelli di Bloomberg, visto che secondo loro il Btp Italia ha la stessa struttura dei Btp-i. La tesi alternativa è che i documenti del Tesoro siano redatti malissimo.
Quando la Patria chiama
Ovviamente nessun giornalista economico e nessun preteso esperto di reddito fisso ha notato ciò, impegnati solo a ripetere come pappagalli i comunicati stampa degli emittenti qualsiasi siano, una volta l’Enel, un’altra volta Lehman Brothers (sino a qualche anno fa), un’altra ancora il Tesoro.
Sul Corriere della Sera del 12-3-2012 (CorrierEconomia, pag. 23) Jacopo Ceccatelli di JC&Associati decanta “il taglio minimo molto basso, mille euro, come gli altri Btp”. In realtà è quello normale nel reddito fisso. Molto bassi sono semmai i tagli dei buoni fruttiferi postali: 250 e persino 50 euro.
L’autore dell’articolo (Marco Sabella) afferma che per “gli altri titoli inflazion linked l’aggiornamento del capitale viene fatto a scadenza”, mostrando di non sapere nulla dei Btp-i per i quali pure avviene giornalmente, sempre col meccanismo del c.d. coefficiente d’indicizzazione.
Su Milano Finanza Angelo Drusiani di Banca Albertini Syz afferma con una palese contradictio in terminis che è previsto “un premio modesto, ma significativo, per chi manterrà fino alla scadenza il titolo”. In realtà il premio è irrisorio: lo 0,1% annuo.
Giornalismo plaudente
Vedi poi Isabella Bufacchi che passivamente riporta la vanteria del sottosegretario Vittorio Grilli, secondo cui “Il Tesoro è sempre stato all’avanguardia nella metodologia di gestione del debito pubblico” (Sole 24 Ore, 7-3-2012, pag. 5). Ignora dunque che il Tesoro italiano arriva con 14 anni di ritardo rispetto a quello francese nell’emettere Btp indicizzati all’inflazione interna; e anche i Btp-i li copiò paro paro dalle Oat-ei francesi.
Altra perla della giornalista confindustriale è che il nuovo titolo “spazza via due discutibili punti di riferimento del risparmiatore italiano [fra cui] il differenziale fra il rendimento dei titoli di stato italiani e tedeschi”, affermazione priva di ogni fondamento, visto che il Tesoro stesso afferma che la cedola minima definitiva verrà fissata sulle condizioni di mercato. Di perle simili nella sua c.d. “Analisi”, accanto all’articolo, ne troviamo una ogni capoverso, fra cui l’affermazione che “il capitale investito si rivaluta semestralmente sulla base dell’inflazione”. Ma se così fosse, funzionerebbe peggio dei Btp-i tradizionali, mentre in base ai vari documenti del Tesoro la rivalutazione è giornaliera.
Tutti in coro poi a esaltare l’assenza di commissioni, regola generale per sottoscrivere titoli all’emissione. Si sbrodolano quindi a decantare la possibilità di passare gli ordini di acquisto online, aspetto del tutto secondario.
Con tutto ciò i Btp Italia, pur senza essere meraviglie, non sono neppure schifezze come i prodotti che rifilano ai clienti banche e promotori finanziari. Ma ogni entusiasmo è fuori luogo, perché non sono schifezze neppure gli altri investimenti in diretta concorrenza: i Btp-i, le Repubblica Italiana 2,25% 2019 o i buoni fruttiferi indicizzati all’inflazione. Per saperne di più, si veda la mia pagina web al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino.
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