“La guerra peggiora la fiducia nel futuro sull’economia e la situazione internazionale. Ciò porta a un aumento dei risparmi. Tuttavia, è ancora poco il risparmio dedicato a tutelare il futuro, come dimostra lo scarso accesso alle polizze assicurative”. L’ha detto ieri Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2022.
Gian Maria Gros Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, ha segnalato che l’aumento dei risparmi è in parte riconducibile al momento post-pandemia, che ha costretto a rinviare alcune spese, come ad esempio quelle legate al turismo. Tuttavia la salita dei risparmi non si traduce in un incremento degli investimenti, che sono tenuti sui conti correnti sia dalle famiglie che dalle imprese. “La liquidità inerte è un grossissimo danno sociale. Il contesto attuale impone di ripensare le catene logistiche, cambiare le tecnologie per lottare contro il cambiamento climatico. Ma gli investimenti sono bloccati dall’incertezza“, avverte il presidente di Intesa Sanpaolo.
L’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2022 analizza il rapporto degli italiani con il risparmio in un momento particolarmente complesso, in cui le conseguenze della pandemia si intrecciano con gli effetti del conflitto russo-ucraino e della crisi energetica. Al questionario generale, somministrato da Doxa tra marzo e aprile 2002 (oltre 1.000 interviste) sono affiancati due focus: il primo sugli imprenditori e il secondo sui giovani (in entrambi i casi circa 200 interviste). Prima del commento dei risultati della ricerca, De Felice ha fatto il punto sul contesto economico attuale.
Inflazione e banche centrali
“Non vedevamo da decenni un’inflazione a doppia cifra, aggravata dalla crisi ucraina, ma è nata prima per la difficoltà dell’offerta di stare al passo con la domanda e l’interruzione delle catene del valore. Forse le decisioni degli Usa hanno portato a un eccessivo stimolo alla domanda”, spiega Gregorio De Felice, capoeconomista di Intesa Sanpaolo. Tuttavia, l’inflazione in Usa è legata al surriscaldamento dell’economia, ossia agli stimoli alla domanda superiori a quelli dell’offerta e a cambiamenti rilevanti nel mercato del lavoro, con gli americani che stanno dando priorità alla famiglia rispetto al lavoro, per cui sul mercato del lavoro gli stipendi rincorrono l’aumento dei prezzi. In Europa non abbiamo un eccesso di domanda di lavoro, ma un alto numero di disoccupati rispetto ai posti disponibili. L’inflazione europea è dovuta a un aumento dei costi post-pandemia, poi aggravato dal conflitto in Ucraina.
“Le banche centrali hanno reagito alla situazione in ritardo, poiché pensavano che l’inflazione fosse temporanea. Questo ritardo sta portando a rialzi dei tassi maggiori di quanto sarebbero stati se si fosse intervenuti per tempo”, evidenzia De Felice. Che però difende la Bce, spesso accusata di imitare pedissequamente la Fed. “I rialzi dei tassi sono inferiori in Ue, con l’obiettivo del 3% contro il 5% della Fed. Inoltre in Europa non abbiamo risposto ai rincari energetici con una politica energetica comune, mentre gli Usa sono diventati autonomi sotto il profilo energetico, per cui i rincari hanno un impatto limitato su di loro. L’Europa si limita a RepowerEU, ma non emette debito comune e non vara piani nazionali di ripresa come avvenuto post coronavirus. Gli Usa invece hanno varato l’Inflation reduction act“. Secondo De Felice, è in atto un rallentamento e avremo una recessione per la prima metà del 2023, ma tutte le previsioni vedono un 2024 migliore e una ripresa nella seconda metà del 2023, con un calo dell’inflazione e la fine del rialzo dei tassi.
Crescono risparmi e risparmiatori
Nonostante il contesto ostile, i risparmiatori sono tornati ai livelli pre-pandemia, attestandosi al 53,5% (55,1% nel 2019), in netto aumento rispetto al dato 2021, che vedeva i risparmiatori ridotti al 48,6% del totale. La quota varia però sensibilmente tra i diversi gruppi del campione. Riesce ad accantonare risorse il 68% dei laureati, contro meno del 50% di chi ha un’istruzione media inferiore. Risparmia il 69% di chi ha un reddito netto mensile maggiore di 2.500 euro, ma solo il 36% di chi non arriva ai 1.600 euro. Differenze analoghe emergono tra chi ha una casa di proprietà (risparmia il 60%) o in affitto (34%) e tra le famiglie con più redditi (69%) e quelle monoreddito (47%).
Altro dato positivo che emerge dal campionamento 2022 è l’aumento dell’intensità di risparmio, ossia della percentuale di reddito che gli intervistati risparmiano. In media, il dato si attesta nel 2022 all’11,5%, in crescita rispetto al 10,9% del 2021 e non lontano dai livelli pre-pandemia (12,6%). Solo una quota minoritaria degli intervistati (17% del campione) dichiara di accantonare risparmi avendo in mente uno scopo preciso (sono i cosiddetti risparmiatori “intenzionali”). Gli scopi principali del risparmio sono precauzionale o casa.
Risparmi e mercati
Per quanto riguarda i mercati, Russo ha evidenziato che il 2022 è stato un anno singolare, dove i rendimenti delle diverse asset class sono stati tutti negativi: è successo solo due volte in 140 anni. Ma il risparmiatore ora ha capito che non deve scappare dai mercati quando scendono, perché finisce per monetizzare le perdite. “Il risparmiatore è diventato più riflessivo, infatti è disponibile a cedere rendimento di breve periodo a favore della crescita del capitale nel lungo termine”, sottolinea il direttore del Centro Einaudi.
Secondo Russo, le obbligazioni sono più in pausa che in crisi, inoltre non si fugge più dalle azioni se per un anno scendono, per cui i risparmiatori ora sono consapevoli che devono affrontare rischi pluriennali e che certi anni possono andare male. Tuttavia c’è ancora poca diversificazione sulle azioni, ma aumenta il risparmio gestito: la quota dei possessori di fondi e sicav aumenta infatti al 17,3%, dal 12,4% del 2021. Almeno una forma di risparmio gestito entra nel 21% dei portafogli del campione, con una marcata differenziazione territoriale, che va dal 41% del Nord-Est al 4,9% del Sud-Isole. Si sottoscrive il risparmio gestito per fruire dell’esperienza dei gestori (50%) e per diversificare (31%); assai meno per speculare (22%). Il rapporto tra soddisfatti e insoddisfatti (9,3 a 1) è il migliore tra le diverse classi di investimento. “Non si investe in fondi per motivi speculativi come una volta, ma per delegare la gestione a chi è più competente. La consulenza finanziaria serve e sembra che sia utilizzata”, chiosa Russo.
Beppe Facchetti, presidente del Centro Einaudi, ha definito il risparmio “un antidoto e una forma di protezione per avere un futuro migliore”. Tuttavia, gli italiani quando investono hanno una bassa propensione al rischio, per cui preferiscono gli investimenti meno rischiosi (e quindi meno remunerativi). “Ma rischio non va evitato: va affrontato e gestito. Non bisogna preoccuparsi, ma occuparsi del problema. Ecco perché occorre maggiore educazione finanziaria, intesa come la capacità di valutare i diversi tipi di investimento a disposizione”, precisa Gros Pietro.
Giovani e risparmi
La ricerca di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi indaga anche i comportamenti dei giovani in tema di risparmi. Questi ultimi si servono di una sola banca (67,4%) e in parte delle Poste (24,4%); solo una quota residuale ha rapporti con più banche (8,2%). Più del 65% si serve di servizi digitali quali l’internet banking e il mobile banking, con una percentuale di soddisfazione (corrispondente a chi si dichiara abbastanza o molto soddisfatto) oltre il 95%. Tuttavia, solo il 5,5% ha una banca esclusivamente online. Per spese di piccolo importo, nei negozi i giovani si servono principalmente del bancomat o del contante; risulta invece un utilizzo quasi nullo dei servizi di mobile o online payment. Fa riflettere che la banca del futuro sembri avere nei giovani molte delle caratteristiche della banca del passato, con parole d’ordine: fiducia e rapporto umano.
Interessante anche lo spaccato degli investimenti alternativi per fasce di età. Non stupisce l’attenzione dei giovani per tecnologia e criptovalute. In proposito, Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi, è molto scettico: “La criptovaluta non è un investimento, ma una commodity, come i peperoni o i tartufi. Anche l’oro è una commodity, ma ha un costo marginale di estrazione che dev’essere almeno pari al prezzo. La criptovaluta invece ha un costo marginale di estrazione pari a zero, per cui si scommette che qualcuno la vorrà comprare a un prezzo maggiore. Pertanto non è un bene di investimento, anche se le piattaforme l’associano a esso. E’ difficile mettere le criptovalute nei portafogli. Sono utili le tecnologie sottostanti come la blockchain, ma le criptovalute sono estremamente pericolose. Preferisco un tubero come tartufo o peperone, che nel caso si può mangiare se il suo valore va a zero”.