Se il rapporto tra prezzo di Borsa e stime sugli utili è collassato nell’ultimo periodo lo si deve non solo al calo dei listini azionari Usa del 7% circa da inizio anno ma soprattutto dalle stime ultra ottimiste di mercato sui risultati fiscali. Gli economisti e analisti interpellati da Thomson Reuters si aspettano una crescita dei profitti aziendali nel primo trimestre del 18,5% rispetto a un anno fa. I primi del 2018 il consensus era del +12%.
Per il momento le banche Usa non hanno deluso le aspettative ottimiste ma c’è il rischio di un ulteriore calo delle Borse in caso di conti trimestrali più deludenti con il passare delle sedute e dei report fiscali. James Mackintosh sul  Wall Street Journal sottolinea che la fase di correzione dell’S&P 500 ha spinto al ribasso il rapporto P/E, monitorato con attenzione da tutti i gestori e operatori di Borsa in cerca di segnali.
“Solo una volta prima d’ora le aspettative sugli utili delle società americane sono salite tanto o così in fretta come hanno fatto quest’anno”. Tuttavia, gli investitori sembrano ignorare completamente la faccenda visto che i listini di Borsa stanno cedendo quota. Il risultato è che la misura preferita da Wall Street per valutare quanto un titolo è sopravvalutato o sottovalutato continua a scendere “a un ritmo che di solito si vede soltanto in periodi di crisi”.
Questo andamento non significa che d’improvviso i titoli azionari siano diventati economici e che convenga comprare per forza. Detto questo il rapporto P/E forward a 12 mesi sulle imprese quotate sull’S&P 500 è sceso dai massimi di 16 anni di 18,6 volte toccati a fine gennaio ai 16,4 di una settimana fa (alla chiusura dei mercati Usa martedì 10 aprile). Il tasso è tornato ai livelli del 2014.
La caccia all’alpha si è spostata sui Bond Usa
Una variazione di questa entità si è vista solo durante o prima di periodi di crisi, come nel 1998 o durante la crisi greca del debito nel 2010. Sicuramente non c’è una crisi di mercato in questo momento, ma forse gli investitori si aspettano di vedene presto una.
Un’altra ipotesi, avanzata da Ben Carlson in questi giorni sul blog A Wealth Of Common Sense è che siano i multipli di Borsa a scendere maggiormente, per via dell’appetito crescente per i bond governativi americani meno rischiosi, i quali offrono ormai un’alternativa di rendimento alpha valida all’azionario. Il due anni ha raggiunto brevemente il 2,83%, ai massimi da quasi dieci anni.
Il ciclo di rialzo dei tassi di interesse che ha avviato la Fed ha un impatto sul mercato obbligazionario. La crescita dei rendimenti sta avendo un impatto sulle scelte di trading di gestori, investitori istituzionali e grandi player di mercato. “Da un punto di vista della asset allocation, il capitale degli investitori deve per forza andare da qualche parte: azioni, bond, cash, immobiliare o investimenti alternativi e queste decisioni sono spesso dettate più dal valore relativo che da quello assoluto”.