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Il Valore della Consulenza: “Come si misura la consulenza di valore”

È in corso a Palazzo Mezzanotte il secondo appuntamento de “Il valore della consulenza”, l’evento dedicato alla consulenza finanziaria organizzato da Wall Street Italia in collaborazione con ALLIANZ Global Investors, AXA Investment Managers, AMUNDI, PICTET e PIMCO.

Ecco un estratto degli interventi effettuati nella seconda tavola rotonda, a tema Come si misura la consulenza di valore?, che ha visto coinvolti:

  • Massimo Doris (Amministratore Delegato di Banca Mediolanum);
  • Alessandro Foti (Amministratore Delegato FinecoBank);
  • Alessandro Marchesin (Head of Wealth&Asset Management Sella);
  • Massimiliano Marzo (Professore di Economia, Università di Bologna);
  • Lorenzo Bassani (Direttore Generale Mediobanca Premier).

Massimiliano Marzo: “La consulenza deve riguardare tutti gli aspetti patrimoniali”

“Non è semplice calcolare il valore della consulenza”, esordisce Massimiliano Marzo. “Uno degli aspetti importanti è il tema del passaggio generazionale, una sfida che non può essere affrontata in maniera improvvisata.”

Inoltre, “la consulenza deve riguardare tutti gli aspetti patrimoniali. Il tema delle imprese è il più sfidante, in un momento in cui scadono i finanziamenti Tltro con tassi vantaggiosi è importante che imprese siano affiancate da un’attività consulenziale che le aiuti a razionalizzare la loro posizione finanziaria, rafforzare la presenza competitiva sul mercato e ingrandirsi.” Per molte Pmi il bivio è crescere o essere vendute: “Molte piccole imprese detengono brevetti importanti e innovazioni, se non vengono curate rischiamo di cedere un patrimonio industriale italiano”.

Nel complesso, “la consulenza è un grande valore aggiunto che deve essere ‘manutenuto’ ed è necessario che i consulenti siano aggiornati, preparati e formati, perché i mercati e le sfide cambiano. Se non si è in grado di cogliere i trend viene meno la fiducia, fondamentale nel rapporto consulenziale, che si crea con formazione, preparazione e competenza”, conclude Marzo ricordando i risultati che vedono una differenza di 151 punti base in termini di performance tra chi opera senza consulenza (+14%) e chi si affida ai consulenti (+164%).

Doris: “Focus su soddisfazione clienti e ritorni dei clienti”

Ma come si misura il valore della competenza e quindi della consulenza? “Con la soddisfazione dei clienti, con i ritorni rispetto al mercato e altri dati oggettivi”, afferma Massimo Doris, che sottolinea come la competenza in Banca Mediolanum venga stimolata “con continui corsi di formazione ai family bankeer e ai dipendenti”.

Un elemento importante riguarda il fatto che “il 25% dei clienti che acquisiamo direttamente chiede consulenza da parte dei family banker, quindi anche chi inizialmente pensa di non averne bisogno a un certo punto cambia idea”.

Foti: “Grandi masse in arrivo dalle banche tradizionali”

In linea con Doris anche Alessandro Foti di Finecobank, che pone a sua volta l’accento sul “grado di soddisfazione dei clienti. Importante anche la propensione dei clienti stessi a suggerire a conoscenti e amici di fare un’esperienza con noi: stimiamo che quasi il 50% dei clienti che acquisiamo tutti gli anni arrivino tramite passaparola, che è la forma di marketing più convincente”.

Un altro modo di determinare il valore della consulenza risiede nella “velocità con cui aumenta lo share of wallet dei clienti che entrano. La stragrande parte della crescita arriva dall’acquisizione di masse dalle banche tradizionali, e questo non è scontato”, afferma Foti.

Bassani: “Gestire l’allocazione del patrimonio e rivedere i modelli”

Per Lorenzo Bassani un altro aspetto da considerare è “la necessità di comprendere i bisogni del cliente, trovare soluzioni per tutti gli aspetti aziendali, personali e generazionali. Quest’ultimo è un tema caldo perché abbiamo una popolazione di boomers che deve trasmettere ricchezza alle  nuove generazioni”.

Pertanto, occorre “gestire l’allocazione del patrimonio e rivedere i modelli, aiutare le aziende a inserire giovani e donne, in modo che i private del domani possano interloquire con interlocutori che li capiscano.”

Marchesin: “Affrontare le esigenze dei giovani con nuovi business model”

Ma quanto stanno cambiando le abitudini dei nuovi investitori? A rispondere è Alessandro Marchesin, che rimarca due trend demografici intrecciati: il primo è l’invecchiamento della popolazione, il secondo è legato ai giovani e al risparmio. Rispetto al primo, i banker stanno da tempo integrando nei modelli di business strumenti per andare incontro alle esigenze della popolazione più anziana.

Con riferimento ai giovani, bisogna considerare che “le abitudini di consumi non legate alla finanza un giorno diventeranno abitudini di consumo della finanza ed è necessario affrontare le esigenze con nuovi modelli di business. Abbiamo l’esperienza per farlo e dobbiamo aiutare con la comunicazione a convincere questi giovani a non essere neutrali o antagonisti rispetto alla finanza”, forti anche del fatto che “il nostro mercato è parecchio vigilato e questa è una tutela anche per loro”.

Marzo: “Capirela domanda che proviene dai giovani”

Ma che tipo di comunicazione serve con i giovani? Per Massimiliano Marzo, “i giovani sono molto stimolati dalle innovazioni finanziarie e sono già molto consapevoli del tema della pensione, con una domanda di investimento su piani a lungo termine facili e poco costosi”. Per quanto riguarda il breve termine “parlano molto di cryptovalute e malgrado le insidie dobbiamo capire che è una domanda che proviene dal mondo dei giovani”.

E qui si apre un altro tema: “Dobbiamo distinguere tra mercato regolato e vigilato. Deve essere vigilato, ma spesso abbiamo troppi vincoli su strumenti di lungo termine per il risparmiatore.” Ad esempio, “c’è una domanda su titoli meno liquidi ma molto importanti, come fondi di private equity e private debt, ma bisogna lavorare per permettere l’accesso a questi strumenti”, sottolinea Marzo, portando come esempio l’Extramot pro dove sono quotati i minibond.

Doris: “Importante diversificare e aspettare”

Secondo Doris, però, il problema principale è “la cultura finanziaria. Il mercato presenta ogni giorno nuovi trend e notizie, i trend di lungo termine vengono messi in discussione ed è molto difficile portare le persone sulle cose più semplici: dividere i risparmi in breve, medio e lungo termine, diversificare e aspettare, perché il tempo è il fattore più importante.”

Inoltre, “puoi spiegare che un investimento è illiquido ma portare gente che non ha grandi patrimoni e cultura finanziaria di un certo tipo in questa direzione è pericoloso, è facile trovarsi con clienti scontenti. Per questo sono meglio i classici fondi, che danno il giusto valore al tempo, anche se il dramma è che i clienti tendono a muoversi e fare danni”.

Foti: “Gli italiani stanno capendo che devono investire”

Un altro tema emerso nel corso della tavola rotonda è quello dei collocamenti di titoli di Stato da parte del MEF. Per Foti, “quello che sta facendo il MEF è comprensibile, dopo la pandemia i Paesi sono molto più indebitati e il debito deve essere rifinanziato.”

La spinta verso l’obbligazionario, sempre perdente rispetto all’economia reale nel lungo periodo, “può sembrare negativa, ma ha una valenza positiva, perché si sta trasformando in una gigantesca wake up call per i clienti potenziali. Gli italiani stanno capendo che il denaro va investito e questo è già un grandissimo passo avanti. Quindi la platea potenziale di riferimento per l’industria del risparmio gestito si sta allargando enormemente”, sottolinea l’Ad di Finecobank.

“Quando i rendimenti scenderanno si creerà il terreno ideale per confrontarsi e portare i risparmiatori su un percorso più virtuoso dal punto di vista della cultura finanziaria.” Dal canto suo, l’industria dell’asset management deve “farsi trovare pronta a dare efficienza, trasparenza e qualità”, conclude Foti, ricordando che negli ultimi 20 anni l’inflazione ha eroso il 35% dei patrimoni non investiti.

Investire in competenze e sviluppo dell’industria

Ma come si combatte la disinformazione? Con la competenza, secondo Bassani. “È il motivo per investire tanto nelle competenze quando parliamo delle nuove generazioni. I giovani non devono guardare rendimenti facili, devono essere attratti da realtà brave ad interessarle e dare nuove competenze. Dobbiamo creare una nuova generazione di consulenti finanziari, bancari, in grado di acquisire competenze trasversali e trasferire valore al cliente.”

Infine, i cinque interlocutori hanno fornito una propria visione complessiva sull’industria del risparmio gestito, sottolineando che nonostante si tratti di aziende diverse, hanno il comune denominatore di aiutare il cliente a realizzare i propri obiettivi di investimento, anche se si può fare ancora meglio per dare valore aggiunto al risparmio e al Paese, anche in termini di Pil.

Marzo conclude affermando che serve “un’industria grande, importante, plurale e variegata, dove anche i piccoli possono fare la propria parte insieme ai campioni nazionali”.