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(WSI) – Il balletto del governo sull’Irap ha avuto aspetti così paradossali da sfociare nella pochade. Per settimane il premier ha illuso categorie economiche e imprese, annunciando che l’Europa stessa per prima ci imponeva una riduzione drastica se non addirittura l’abbattimento in un sol colpo della grosso dell’Irap. E che la cosa si sarebbe fatta subito, era improrogabile, con un decreto legge senza aspettare la finanziaria, anche perché l’acconto per l’anno in corso si versa entro il 20 giugno e dunque non c’era tempo da perdere.
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Le occasioni in cui l’ha annunciato sono così tante e tali, che il premier meriterebbe davvero le si ristampasse tutte con data e ora: occuperebbero pagine intere di giornale. Naturalmente, poi è toccato a Siniscalco pelarsi la patata bollente, confrontarsi con la possibilità di reperire davvero risorse per miliardi di euro per evitare un taglio finanziato in deficit proprio mentre a Bruxelles si apre la procedura d’infrazione per violato patto di stabilità europeo. E affrontare le discordanti campane della maggioranza, che neppure di fronte ai dati brucianti del secondo trimestre consecutivo di contrazione delle attività economiche è riuscita a evitare di dividersi sino alla reciproca interdizione.
Dopo l’illusione ecco l’elusione, fino al punto tale di inscenare una comica convocazione delle parti sociali – dimenticandone alcune, come le rappresentanze artigiane – al solo scopo di dire che proprio la divergenza delle loro richieste poneva il governo nell’impossibilità di intervenire. Di qui l’annuncio del rinvio di ogni riduzione sino al 2006, e la sconvocazione di un annunciato Consiglio dei ministri fantasma in cui in teoria doveva essere all’ordine del giorno l’adozione del decreto.
La delusione bruciante di Confindustria e degli altri attori economici è una conseguenza obbligata, ma due volte sbagliata. Primo perché è un autogol politico: se il governo con questo crede di posporre alle elezioni future riconoscenze da sgravi che riguarderanno il domani, dimentica che domani la sua parola sarà ancor meno creduta di oggi, dopo questa giravolta. Secondo perché è un autogol economico: proprio di queste cocenti delusioni si alimenta con forza la spirale di sfiducia che spiega tanta parte della recessione italiana.
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