(Teleborsa) – Il boom delle richieste di ingressi di lavoratori extracomunitari stagionali è spinto dalla domande delle aziende agricole dove sono in fase avanzata i lavori di preparazione della primavera. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il boom di richieste di lavoratori stagionali extracomunitari con ben 19.882 domande nominative inviate per via informatica nel primo bilancio a sole 36 ore dalle 8,00 di mercoledì 21 aprile, quando è stato dato il via libera alla presentazione. La maggioranza dei lavoratori stagionali extracomunitari – sottolinea la Coldiretti – troverà infatti occupazione in agricoltura che insieme al turismo e all’edilizia è il settore con maggiori maggiore opportunità occupazionali per questi lavoratori soprattutto per le grandi campagne di raccolta delle principali produzioni Made in Italy: dalla frutta alla verdura, dai fiori al vino fino, ma anche negli allevamenti. Sono molti i “distretti agricoli” dove i lavoratori immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso – aggiunge la Coldiretti – della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti in Lombardia dove a svolgere l’attività di “bergamini” sono soprattutto gli indiani mentre i macedoni sono coinvolti principalmente nella pastorizia. Sono circa 30mila le aziende agricole italiane che secondo la Coldiretti assumono lavoratori extracomunitari che rappresentano circa il 10 per cento sul totale dei lavoratori agricoli. Secondo il XIX Rapporto Caritas/Migrantes sull’immigrazione al quale ha collaborato la Coldiretti sono 90.091 i rapporti di lavoro in agricoltura identificati come extracomunitari negli archivi INPS ed appartengono a 155 diverse nazionalità anche se a trasferirsi in Italia per lavorare in agricoltura – conclude la Coldiretti – sono principalmente nell’ordine gli albanesi (17,2 per cento), i marocchini (12,6%) e a sorpresa gli indiani (13,8 per cento) che trovano occupazione soprattutto negli allevamenti del nord per l’abilità e la cura che garantiscono alle mucche
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