Società

In fuga da Twitter: perché tante celebrità se ne vanno

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LONDRA (WSI) – Passano giorni, mesi e anni e intanto i social network, piano piano, si stanno sempre più impossessando di noi, passando dall’essere una forma di svago e di socializzazione ad una specie di droga di cui, molti, non possono più fare a meno.

Certamente è un discorso molto generale. Ognuno infatti è – ancora – libero di usarli come meglio crede, ma sempre più dobbiamo, o sentiamo il bisogno, di essere connessi a qualcosa, di guardare e commentare il mondo da dietro uno schermo sapendo di essere protetti dall’anonimato e di poter dire tutto quello che vogliamo, senza limiti di censura. Perché tanto nessuno potrà mai trovarci.

Siamo la generazione dei Millennials, come il magazine TIME ha definito nel suo ultimo articolo da copertina i giovani americani sempre connessi e ossessionati dal culto della propria immagine e persona. Senza rispetto per le sensibilita’ altrui.

Ed è cosí che molti utenti, anche volti noti, decidono di abbandonare i vari social media. Perchè non ne possono più di questa sorta di cyberbullismo e iperconnettivita’. Una settimana fa è accaduto a Enrico Mentana.

Il direttore del Tg di La7, senza mezzi termini, abbandonando il micro blogging, ha dichiarato: “Il numero di tizi che si esaltano a offendere su Twitter è in continua crescita. Resterei se ci fosse almeno un elementare principio d’uguaglianza: l’obbligo di usare la propria vera identità. Se il bar che amate si riempie di ceffi, cambiate bar o no?”.

Il suo non è stato l’unico caso. Un anno fa era accaduto a Fiorello, il personaggio italiano piú seguito in Rete dopo Jovanotti, salvo poi rientrare, con un nuovo account, lo stesso giorno che Mentana se ne è andato.

Per lo showman i motivi sono stati gli stessi, ovvero i troppi commenti sgradevoli. Lo stesso era accaduto con il nuotatore ex campione mondiale di stile libero Filippo Magnini, che prima di cancellare il proprio account aveva commentato. “Qui è pieno di gente cattiva”.

La soluzione non è cosi’ grave come quella dipinta dal giornalista Giuliano Ferrara: “Siamo in mano a dei pazzi che twittano, io prendo solo insulti. Chiudiamo Facebook e Twitter. In Cina lo fanno, perché noi no? Siamo una democrazia, facciamolo”.

E un personaggio pubblico dovrebbe essere in gardo di incassare aspre critiche e gli insulti piu’ duri con classe, come ricorda anche Beppe Severgnini in una interessante riflessione sull’argomento.

Ma una comunità in cui i sentimenti prevalenti sono quelli di ostilità non è vivibile e le offese continue sono innegabili. Erano piovute anche sulla giornalista di Rai Sport, Paola Ferrari, che aveva deciso di querelare la societa’ Usa per “diffamazione”, a causa delle continue parole offensive con pesanti allusioni all’aspetto fisico, riferite all’età e a presunti lifting estetici e operazioni di chirurgia.

La conduttrice spiegò così la sua scelta: “La mia sarà una battaglia per una informazione più civile che si basa su una semplice regola: sì e sempre alla libertà di critica, ma non alla libertà d’insulto e di diffamazione vigliacca e, soprattutto, anonima”.

Attenzione, questa è la parola d’ordine sul social media. E come suggerisce Michael Wolff, il biografo di Rupert Murdoch e media columnist di Usa Today e Guardian, l’importante è capire che “Twitter è come una cartolina. Con la quale puoi mandare tanti baci o, al contrario, una maledizione. Però resta un mezzo efficace: se non proprio le sfumature, il punto del discorso può venire fuori in pochi scambi”.

Un altro episodio è utile per capire le potenzialità, ma anche pericolosità di tale mezzo. Poco tempo fa, tra il tweet “hackerato” dell’Ap che annunciava il bombardamento della Casa Bianca e la correzione, sempre su Twitter, del messaggio sono passati sette lunghissimi secondi, ovvero quanto è bastato a far correre la notizia in tutto il mondo e a far crollare Wall Street.

Alla fine dei conti, non sappiamo ancora se i Social Media ci renderanno più stupidi o più intelligenti. Sicuramente, però, è già troppo tardi per tornare indietro.