In pensione quattro mesi in anticipo per ogni figlio. È questa, in estrema sintesi, la nuova idea che il Governo sta valutando: la misura, ovviamente, è rivolta alle lavoratrici e dovrebbe essere al netto di opzione donna. A riferirlo sono direttamente i sindacati, che ne hanno parlato al termine dell’incontro tenuto al Ministero del Lavoro.
Permettere l’uscita alle lavoratrici di andare in pensione quattro mesi in anticipo comporterebbe una spesa aggiuntiva pari a 700 milioni di euro. Questo è il motivo per il quale questa ipotesi, al momento, è ancora al vaglio dei tecnici del Ministero del Lavoro e del Mef.
In pensione quattro mesi prima
Permettere alle donne di andare in pensione anticipatamente di quattro mesi, nel caso in cui avessero dei figli. Questa è in estrema sintesi l’idea avanzata dal Governo. Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, ha spiegato:
“Il governo ha messo sul tavolo una prima intenzione di modificare la norma su opzione donna. Ma non ha spiegato se sarà una ulteriore modifica o il ripristino. Il governo si è impegnato a modificare l’attuale norma e a darci risposta nelle prossime ore, nei prossimi giorni perché si stanno confrontando tra ministero del Lavoro e Mef. Quindi aspettiamo di avere qualche notizia. Saremo soddisfatti quando avremo risposte alle nostre richieste. Bisogna passare dalle dichiarazioni ai fatti”.
Con l’introduzione di questa misura, il Governo ha intenzione di valorizzare la maternità, permettendo di andare in pensione anticipatamente a tutte le lavoratrici, indipendentemente da cosa accadrà con opzione donna.
Una misura già vista
La possibilità di accede alla pensione anticipatamente non è, sostanzialmente, una vera e propria novità, perché era già stata prevista dalla riforma Dini. A questa misura, però, potevano accedere solo quanti sono nel contributivo pieno. Il Governo Meloni, invece, avrebbe intenzione di allargare la platea dei potenziali beneficiari, anche ai pensionandi con sistema misto. Sulle lavoratrici più giovani, con delle carriere leggermente più discontinue, si starebbe ragionando sulla possibilità di prevedere un’integrazione al minimo in caso di pensioni basse al termine della carriera lavorativa.
La misura risulta essere al centro delle valutazioni del Ministero del Lavoro e del Mef: al momento, comunque, è già possibile effettuare le prime stime sul peso economico che questa iniziativa potrebbe avere: nella peggiore delle ipotesi potrebbe venire a costare qualcosa come 700 milioni di spesa in più.
Per il momento, invece, rimane anche da risolvere anche la questione legata della stretta dei requisiti per accedere a opzione donna. Il governo Meloni, infatti, ha ridotto al numero di 2.900 le donne che potrebbero ottenere l’agevolazione per il 2023, contro le 21.000 del 2019 e le 14.500 del 2020. I sindacati chiedono di tornare alla vecchia formulazione, ovvero l’uscita a 58 anni per le dipendenti e a 59 anni per le autonome con 35 di contributi e ricalcolo dell’assegno con il sistema contributivo che comporta un taglio fino a un terzo.