Economia

Inflazione area euro: ecco perché il rialzo di fine anno non preoccupa

Eurostat ha comunicato la stima flash dell’inflazione dell’area euro relativa a dicembre 2023, secondo cui l’inflazione headline annua è salita al 2,9% dal 2,4% di novembre, meno delle attese di consenso (3%), per via di effetti base sfavorevoli legati principalmente all’inflazione energetica tedesca. +0,2% invece l’inflazione mensile di dicembre rispetto a quella di novembre 2023.

L’inflazione tedesca ieri aveva infatti registrato un aumento in linea con le attese di consenso in dicembre, passando al 3,7% anno su anno (+0,1% mese su mese) dal 3,2% di novembre sul CPI (l’indice dei prezzi al consumo) e al 3,8% anno su anno (+0,2% mese su mese) dal 2,3% precedente sull’indice armonizzato, segnando il primo rialzo dopo cinque cali consecutivi. Rialzo legato principalmente ad effetti base sulla componente energia, che è salita al 4,1% da -4,5% precedente per via del confronto statistico con dicembre 2022 (-10% mese su mese vs. -1,9% mese su mese di dicembre 2023), mese segnato da significativi sconti sulle bollette di elettricità e gas.

Difatti l’indice core (sul CPI) tedesco, depurato da energia ed alimentari, al contrario è sceso al 3,5% dal 3,8% di novembre.
Anche l’indice core BCE (sempre al netto delle componenti più volatili, energia e alimentari freschi) ha continuato la sua discesa per la nona volta, a 3,9% (+0,3% mese su mese) dal 4,2% precedente, un minimo da aprile 2022. Così come l’indice al netto di alimentari ed energia, calato per il quinto mese consecutivo al 3,4% (+0,4% mese su mese) dal 3,6% di novembre.

Lo spaccato fornito da Eurostat conferma l’andamento asimmetrico delle macro-componenti dell’inflazione dell’area euro:

  • L’energia è salita al -6,7% da -11,5% di novembre, per via del confronto statistico con dicembre 2022 (-6,6% mese su mese vs. -1,5% mese su mese di dicembre 2023). La dinamica di questa componente nel corso del nuovo anno sarà influenzata da effetti base sfavorevoli dovuti al completo esaurirsi delle misure anti-rincari dei governi, da un lato, e da pressioni al ribasso derivanti dal calo atteso delle materie prime, dall’altro.
  • Gli alimentari lavorati sono scesi al 5,9% da 7,1% anno su anno, mentre quelli freschi sono cresciuti a 6,7% da 6,3% di novembre; nell’insieme, l’inflazione da alimentari è scesa a 6,1% da 6,9% e dovrebbe continuare a rallentare nei prossimi mesi, spinta al ribasso dal calo dei costi energetici e delle quotazioni internazionali delle materie prime agricole nonché da effetti base favorevoli (nel brevissimo termine), solo in parte controbilanciati dall’aumento in corso del costo del lavoro (solo in parte assorbito dai margini di profitto).
  • I beni industriali non energetici sono scesi a 2,5% dal 2,9% di novembre; questa componente dovrebbe toccare un minimo intorno all’1% anno su anno nell’agosto 2024, prima di cominciare a risalire per effetto della ripresa della domanda.
  • I servizi sono invece risultati stabili al 4%: il rientro dell’inflazione in questo comparto è destinato ad essere meno pronunciato e più lento e incerto, per via della risalita in corso del costo del lavoro nel settore.

Dunque l’aumento dell’inflazione di dicembre rappresenterebbe solo un incidente di percorso verso l’obiettivo del 2%, dovuto ad effetti base sfavorevoli sulla componente energia.

Gli analisti della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo confermano infatti che:

“in prospettiva, l’inflazione dovrebbe riprendere a calare, sia pure con minore intensità, da gennaio 2024. Nel corso del nuovo anno, l’inflazione dovrebbe scendere temporaneamente sotto il 2% nei mesi estivi, prima di risalire al 2,4% a dicembre 2024 e attestarsi circa in linea con il 2% nel 2025. L’indice al netto di alimentari freschi ed energia è atteso rallentare dal 3,9% di fine 2023 al 2,2% del dicembre 2024, prima di raggiungere anch’esso il 2% nel 2025”.

L’Italia ad esempio sta già beneficiando di un’inflazione in calo rispetto allo scorso anno. Secondo le stime preliminari per dicembre rese note dall’Istat questa mattina, l’inflazione in Italia è calata nuovamente, passando allo 0,6% dallo 0,7% di novembre sull’indice nazionale, ed allo 0,5% dallo 0,6% sull’armonizzato. Nel mese però i prezzi sono aumentati di +0,2% mese su mese su entrambi gli indici. L’aumento su base congiunturale è dovuto principalmente alla crescita dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,4% mese su mese, per mezzo di fattori stagionali), dei beni alimentari non lavorati (+0,7% mese su mese) e dei beni durevoli e non durevoli (entrambi +0,5% mese su mese), solo in parte compensato dalla diminuzione dei prezzi degli energetici, sia regolamentati (-3,5% mese su mese), che non regolamentati (-2,1% mese su mese).

Come evidenziato dall’Istat, il carrello della spesa a dicembre ha rallentato lievemente su base annua: da +5,4% a +5,3%, come anche i prezzi dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, da +4,6% di novembre a +4,4%. Anche l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, ha decelerato nel mese di dicembre, da +3,6% a +3,1%. E quella al netto dei soli beni energetici da +3,6% a +3,4%.

Ma gli analisti della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo avvertono di non cantare vittoria troppo presto:

“pensiamo che il punto di minimo sia stato toccato a fine 2023 e che, successivamente, l’inflazione italiana possa risalire per il venir meno degli effetti-base sull’energia e per l’effetto dell’esaurirsi delle misure delle autorità contro il caro-prezzi: l’IPCA è visto a 2,7% a fine 2024 e a 1,5% a fine 2025, per una media annua sotto il 2% in entrambi gli anni”.