Inflazione, imprese italiane più attrezzate rispetto agli anni ’80. L’analisi di Mediobanca
L’Area Studi Mediobanca ha diffuso la nuova edizione dei “Dati Cumulativi”, un’indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione analizzate nel decennio 2013-2022. All’interno dello studio, condotto su un campione di 2.150 imprese, viene presentata una comparazione tra l’inflazione del 1980 e quella attuale in termini di impatto sulle aziende. Vediamo cosa emerge dall’analisi.
L’indagine di Mediobanca
I Dati Cumulativi prendono in esame 2150 società italiane che rappresentano il 48% del fatturato industriale. Il campione censisce anche il 49% di quello manifatturiero, il 46% di quello della distribuzione al dettaglio e il 38% di quello dei trasporti. Le imprese a controllo estero coprono il 52% di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 90% delle sole manifatturiere. Sono incluse tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e circa il 20% di quelle manifatturiere di medie dimensioni.
L’inflazione gonfia i fatturati
Il primo risultato che emerge dall’analisi è un forte incremento del fatturato nominale, in gran parte alimentato proprio dall’inflazione. Le vendite complessive delle 2150 società industriali e terziarie italiane sono cresciute del 30,9% annuo nominale nel 2022, superando in valore assoluto i 1.000 miliardi di euro. Tuttavia, la crescita reale, tenendo conto della variazione dei prezzi alla produzione, si è attestata soltanto al +0,6%.
L’industria in senso stretto segna il +1,4% mentre la manifattura il +1,3%, sostenuta da moda, elettronica e farma-cosmesi. All’interno della produzione manifatturiera si segnala la performance, in termini reali, della filiera del made in Italy (+3,8% il fatturato totale, +5% oltreconfine), a conferma del crescente apprezzamento delle produzioni italiane, soprattutto sui mercati esteri.
L’alimentare ha visto il fatturato nominale aumentare del 16,3%, ma al netto di un’inflazione media specifica pari al 15,3% la crescita reale è pari al +0,9% (con un calo dello 0,6% sul mercato interno).
A causa dello shock energetico, i settori più energivori hanno mostrato una maggiore difficoltà a preservare la crescita in termini reali, sebbene a fronte di consistenti aumenti di fatturato.
La manifattura assorbe meglio l’impatto dell’inflazione
Il confronto su base annua tra 2022 e 2021 indica un miglioramento dei principali indicatori di marginalità, ma le cose cambiano se si estende l’orizzonte temporale dell’analisi. Rispetto al periodo 2015-19 (ante-Covid), l’EBIT margin complessivo è diminuito dal 5,6% al 4,7% e il ROI dal 7,8% al 6,9%.
La manifattura, però ha mostrato una maggiore capacità di gestire i costi dell’inflazione, assorbendone l’impatto e riuscendo a segnare una significativa progressione della redditività rispetto ai cinque anni ante-Covid: l’analisi del comparto mostra che l’EBIT margin è salito dal 5,3% al 6%.
Struttura finanziaria solida e investimenti stabili
Malgrado l’inflazione, si registrano segnali positivi sul fronte degli investimenti e della situazione finanziaria delle imprese.
Nel 2022 gli investimenti materiali, espressi a prezzi costanti in moneta del 2013, hanno segnato un lieve incremento sul 2021 (+0,3%), portandosi in termini assoluti sui valori massimi del decennio.
Inoltre, la struttura finanziaria complessiva delle 2150 imprese analizzate è rimasta solida nel 2022, esprimendo un rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri pari all’81,6%, in linea con i livelli medi su cui il sistema si era stabilizzato nel quinquennio 2015- 19 (pari all’82,8%).
Il paragone tra inflazione del 2022 e del 1980: fatturato e costi
Veniamo dunque al confronto tra epoche storiche simili. Per ritrovare un impatto dell’inflazione di portata comparabile al 2022 bisogna risalire al 1980. Mediobanca ha dunque esaminato i conti economici e patrimoniali del biennio 1979-80 disponibili e quelli del 2021-2022, mettendo in luce aspetti similari, ma anche alcune importanti differenze.
La variazione in termini di fatturato nominale è simile (+31,6% nel 1979-80 e +30,9% nel 2021-22), così come i costi per acquisti di servizi e materie prime (+38,4% all’esordio degli anni ’80, +36,7% nel 2022). Tuttavia, i costi d’acquisto hanno oggi una maggiore incidenza rispetto al passato (90,6% vs 83,1% del 1980), perché fenomeni come il progresso tecnologico e la “servitizzazione” hanno ridotto il peso del costo del lavoro (da 18,2% a 8,4%).
Costo del lavoro che è cresciuto del 3,5%, complice un aumento dei dipendenti dell’1,7%, mentre nel 1980 era aumentato del 16,9% (nonostante una flessione dello 0,8% della pianta organica) per via degli automatismi di recupero dell’inflazione messi in atto all’epoca. Nel 2022, la forza lavoro ha subito una perdita del potere d’acquisto pari al 22% a causa dell’inflazione.
Indebitamento più contenuto e meno oneroso nel 2022
Il 1980 fu contraddistinto da un’esplosione degli oneri finanziari (+43,5%), che arrivarono ad assorbire il 6,5% del fatturato delle imprese: incidenza incomparabile con l’1% del 2022, anno che pure ha consegnato un significativo incremento della stessa voce (+19,8%). Una differenza sostanziale riguarda inoltre il risultato d’esercizio, in forte perdita nel 1980 (oltre 2.000 miliardi di lire) e ampiamente in utile nel 2022 (37 miliardi di euro).
Infine, la struttura finanziaria delle imprese appare enormemente più solida nel 2022 rispetto al 1980: il Debt equity ratio si attesta intorno al 81,6%, contro il 194,7% di oltre quarant’anni fa e il costo del debito è pari al 2,5% (nettamente inferiore al 18,3% del 1980). Le disponibilità liquide hanno coperto il 7,2% dell’attivo nel 2022, contro il 2,8% di allora.
In conclusione, le imprese italiane mostrano oggi profili finanziari maggiormente adatti a fare fronte all’inflazione rispetto a quanto accadde negli anni ’80.