I timori degli analisti e dei gestori circa un possibile aumento dell’inflazione si sono rilevati fondati. Nel mese di marzo l’inflazione Usa si è attestata al 2,6%, in crescita rispetto all’1,7 di febbraio. Il dato è di poco superiore alle le attese degli analisti che indicavano per i prezzi al consumo negli Usa un dato al 2,5%. Segnali di inflazione si sono visti anche in Giappone e nella zona euro.
L’inflazione è stato il marker mover delle ultime settimane per le borse internazionali e oggi si è avuta la conferma dopo i rialzi dei rendimenti dei titoli di stato decennali Usa. I tassi dei Treasuries decennali Usa sono in rialzo all’1,685%, ma nelle ultime ore sono saliti fino all’1,691%.
Inflazione, perché fa paura agli investitori
In questo momento viste le aspettative di ripresa delle principali economie può sembrare un controsenso una eventuale reazione negativa delle borse ma in realtà potrebbero essere penalizzate. Vediamo perché.
L’aumento dell’inflazione preoccupa gestori e analisti perché potrebbe far cambiare la politica monetaria delle banche centrali che finora hanno immesso, attraverso i piani di quantitative easing, una mole immensa liquidità per sostenere le economie alle prese con la pandemia e che si è riversata in gran parte nei mercati azionari.
L’enorme liquidità ha favorito soprattutto i rialzi dei titoli tecnologici Usa che hanno raggiunto valutazioni stratosferiche e per le quali molti parlano di una nuova bolla.
Il rischio è che se viene meno questa liquidità, per questi titoli la corsa sia arrivata al capolinea, favorendo una flessione di tutti gli indici azionari nei quali sono ben rappresentati.
I timori dei gestori sono rivoti anche al mercato obbligazionario: eventuali rialzi dei tassi di interesse deprezzerebbero i prezzi delle obbligazioni in circolazione e di conseguenza i valori dei fondi obbligazionari in circolazione.
In realtà nei giorni scorsi la Fed ha cercato di rassicurare i mercati dicendo che un cambiamento di politica monetaria verrà attuato solo quando ci saranno segnali per un chiaro cambiamento di rotta dell’inflazione che negli ultimi anni è rimasta ben al di sotto della media storica.
Secondo quanto emerge dai verbali della riunione della Fed del 17 marzo, nessun cambio di rotta per i tassi di interesse negli Usa. E quindi meno preoccupazioni anche per gli investitori azionari. La banca centrale americana ha confermato l’intenzione di proseguire con una politica monetaria molto accomodante finché non saranno raggiunti gli obiettivi della piena occupazione e di un’inflazione intorno al 2%. Tradotto in parole povere proseguirà il piano di qe e non verranno toccati i tassi di interesse ancora per un bel periodo.
Secondo i gestori di Edmond De Rotschild un ritorno della volatilità delle previsioni d’inflazione sarebbe negativo in quanto percepito come il limite dell’esercizio al quale si sta dedicando attualmente la Fed. Visto il ruolo eccezionale svolto dalla Fed nel rimbalzo dei mercati da un anno questa parte, è importante che essa possa uscire da questa politica monetaria estremamente lassista al suo ritmo, e non accelerando sotto la pressione degli ultimi sviluppi.
Come proteggere i portafogli
Analisti e gestori sono concordi nell’affermare che a questo punto è arrivata l’ora di una rotazione settoriale che prevede di inserire in portafoglio titoli value in grado di beneficiare della ripresa dell’economia e di asset reali collegati alla dinamica dell’inflazione a scapito dei titoli growth che hanno già espresso gran parte del loro potenziale.
Secondo Dean Turner di Ubs la ricetta per proteggere i portafogli dall’inflazione si compone di quattro ingredienti.
Il primo è quello di puntare sulle azioni che distribuiscono dividendi. Secondo Uba, la ripresa dell’economia mondiale darà sostegno ai settori ciclici come materiali, industria e finanza, che in genere distribuiscono dividendi elevati.
Gli analisti di aspettano inoltre che la ripresa economica permetta ad alcune società di ripristinare i dividendi precedentemente sospesi.
Secondo, valutare le opportunità d’investimento disponibili in Asia. La regione asiatica, secondo Ubs, potrebbe offrire alcune delle migliori opportunità per potenziare i redditi d’investimento. Ad esempio, i rendimenti delle obbligazioni high yield asiatiche sono superiori al 7%, mentre i titoli di Stato cinesi (CGB) a 10 anni presentano un rendimento alla scadenza del 3,2%, quasi doppio rispetto a quello dei Treasury Usa di pari durata.
Terzo, prendere in considerazione il mercato del private credit. In cambio di una minore liquidità, è possibile potenziare il reddito d’investimento tramite un portafoglio diversificato di strumenti dei mercati privati, come i finanziamenti diretti e gli asset reali «core». Inoltre, le strategie di private credit aumentano la diversificazione del portafoglio e fungono da copertura contro un aumento dell’inflazione.
Quarto e ultimo, che prende in considerazione il mercato obbligazionario è quello di investire nell’high yield americano. Ubs si aspetta un calo del tasso d’insolvenza aziendale di pari passo con la robusta ripresa economica attesa negli Stati Uniti. Inoltre, l’aumento delle quotazioni petrolifere dovrebbe sostenere gli utili e la redditività del settore dell’energia, che rappresenta circa il 15% del listino. Storicamente il differenziale di rendimento tra le obbligazioni high yield e quelle investment grade presenta una correlazione negativa con i rendimenti dei Treasury a 10 anni.