L’inflazione in Italia è finalmente al di sotto del 2%, livello soglia, basso e costante, scelto dalle principali Banche Centrali come base per una crescita economica stabile.
Più precisamente, a ottobre l’inflazione annua italiana è scesa a +1,7% dal 5,3% del mese precedente, rispetto al 2,3% atteso dal mercato. Dato che non si registrava da luglio 2021 (+1,9%) e che ha fatto immediatamente festeggiare i consumatori meno attenti e i mercati, convinti che questo dato sia la prova definitiva per la Banca Centrale Europea che è finalmente il momento di concludere l’era del rialzo dei tassi, soprattutto dopo i dati preliminari dell’Eurozona nel 2023 pubblicati da Eurostat che vedono i 27, Italia inclusa, in decisa fase di frenata (crescita UE e Italia pari a zero).
Ma i lettori più attenti, e ovviamente la BCE, sanno che è opportuno dare uno sguardo più approfondito ai dati prima di emettere sentenze affrettate. La locuzione “effetto base” vi dice nulla?
L’effetto base è l’impatto sul risultato che si può avere quando si sceglie un differente punto di riferimento iniziale per una comparazione tra due dati. Nel caso dell’inflazione, in questa fase storica è molto rischioso confrontare i dati con quelli dell’anno scorso, soprattutto di ottobre 2022, in cui si affrontava addirittura l’iperinflazione e il picco del +11,8%.
La spiegazione dunque è semplice statistica: il valore è risultato così basso perché rapportato con un livello molto, troppo, alto di partenza. Tradotto ancora in altre parole: non è che i prezzi scendono. Sono ancora in aumento, ma crescono molto meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel dettaglio, sono calati principalmente i costi energetici, sia non regolamentati (-17,7% vs 7,6%) sia regolamentati (-32,7% vs -27,9%), sempre a causa dell’effetto statistico derivante dal confronto con ottobre 2022.
Mentre la dinamica dei prezzi dei beni alimentari rimane su livelli preoccupanti anche se confrontata con il 2022: il tasso tendenziale è sceso al +6,3%, con la voce alimentari e bevande analcoliche che su base annua cresce del +6,5%. Il prezzo del “carrello della spesa” su base annua cresce ancora del +6,1%.
Dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione italiana sono di conseguenza subito arrivati gli avvertimenti anti euforia delle principali associazioni dei consumatori, prime su tutte l’Unione Nazionale Consumatori che ha definito “un fiasco” il trimestre anti-inflazione e il Codacons, che ha definito il calo illusorio, un effetto ottico:
“I dati definitivi dell’Istat confermano ufficialmente che l’effetto sui prezzi del trimestre anti inflazione è stato nullo, come avevamo ampiamente previsto e annunciato. Il che equivale a un fiasco, a un fallimento. Un insuccesso attestato dal fatto che rispetto a settembre, unico confronto corretto e non falsato per giudicare l’iniziativa del Governo, i prezzi dei prodotti alimentari sono rimasti gli stessi, con una variazione nulla (nel dato provvisorio addirittura salivano dello 0,1%) e un’ulteriore stangata per gli italiani. Per una coppia con due figli, l’inflazione a +1,7% significa comunque un aumento del costo della vita pari a 525 euro su base annua, per una coppia con 1 figlio la spesa aggiuntiva annua è pari a 457 euro”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, che rimarca: “ora il Governo intervenga sull’inflazione, in primo luogo riazzerando gli oneri di sistema sulla luce rimessi a partire da aprile e prorogando il mercato tutelato. Un provvedimento, quest’ultimo, a costo zero per lo Stato ma indispensabile per quei milioni di famiglie che, essendo ancora nel mercato tutelato, non sanno che pesci pigliare in un momento di prezzi energetici impazziti e instabili” conclude Dona.
“Nemmeno il paniere salva-spesa varato ad ottobre dal Governo ha riportato i prezzi a livelli accettabili”, ha fatto eco il Codacons.
Preoccupanti anche le stime di Confesercenti:
“il tasso medio annuo di inflazione per il 2023 dovrebbe confermarsi comunque su un livello ancora elevato, tra il 5,7% ed il 5,9%. E le nostre previsioni per il prossimo anno collocano comunque la crescita dei prezzi vicino al 3%. Dati che confermano che la spinta inflazionistica è tutt’altro che esaurita, a cui si aggiungono le tensioni geopolitiche con la questione mediorientale (che va a sommarsi a quella della guerra in Ucraina) e l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie, sinora rilevante, che hanno modificato i comportamenti di spesa per far fronte all’inflazione attingendo e riducendo la scorta di risparmi. Insieme agli elevati tassi di interesse, che hanno impattato ed incidono ancora sui redditi di famiglie con mutui, non possono dunque ancora definitivamente rientrare le preoccupazioni sul versante inflattivo. Con grande attenzione deve essere, altresì, monitorata la dinamica cedente dei prezzi di alcuni beni, in particolare dei durevoli, che certo contribuisce al calo dell’inflazione, ma potrebbe derivare da un indebolimento della domanda, presagio di un ulteriore rallentamento della crescita del PIL. Infine, particolarmente preoccupanti sono, in questo contesto di ancora elevata incertezza, gli ultimi dati sul credito, che segnalano una contrazione dei prestiti alle imprese dell’8,5% e una riduzione dello stock di impieghi in essere verso le stesse imprese di 64 miliardi. Ciò a fronte di tassi di interesse richiesti alle piccole imprese che nel corso dell’ultimo anno sono raddoppiati, con un aumento complessivo di 320 punti base. Dinamiche che segnalano come l’impatto della restrizione di politica monetaria potrebbe rivelarsi nel 2024 anche più forte di quanto non sia stato nel 2023. Certamente, la manovra messa a punto dal Governo ha preso atto di questa situazione complessa, assumendo interventi volti innanzitutto a sostenere la spesa delle famiglie ma la portata delle misure resta, a nostro avviso, limitata. Ribadiamo, infatti, che l’impatto espansivo sul PIL – secondo nostre valutazioni – non supererà i due decimi di punto, anche in conseguenza dello spostamento in avanti dell’attuazione degli interventi previsti dal PNRR: nel 2024 la crescita tendenziale potrebbe fermarsi allo 0,6%”.
Joachim Nagel della BCE dal canto suo ha sottolineato che la politica restrittiva attuale sta funzionando, ma è prematuro affermare che i tassi abbiano raggiunto il picco. Continuerà dunque la navigazione della BCE tra la necessità di stimolare l’economia e la gestione dell’inflazione in un contesto economico incerto.