Economia

Inflazione Usa: prezzi al consumo sopra stime, le implicazioni per la Fed

Il rapporto del Bureau of Labor Statistics statunitense sull’inflazione di settembre mostra un aumento dei prezzi al consumo leggermente superiore alle attese, mentre l’indice core è in linea con le previsioni. Vediamo nel dettaglio i dati e le implicazioni per le prossime decisioni in tema di tassi di interesse della Federal Reserve, che si riunirà il prossimo 31 ottobre – 1 novembre.

Cpi in aumento dello 0,4% m/m e del 3,7% a/a, sopra stime

A settembre i prezzi al consumo Usa hanno registrato un incremento mensile dello 0,4%, rispetto allo 0,3% del consensus di Bloomberg e al +0,6% di agosto. Su base tendenziale, l’inflazione rimane stabile al 3,7%, in linea con il mese precedente, a fronte di un rallentamento atteso dagli analisti al 3,6%.

Il dato core, depurato dalle componenti più volatili dell’inflazione (prezzi alimentari ed energetici), è risultato esattamente in linea con le stime, segnando un aumento dello 0,3% su base congiunturale, in linea con la variazione di agosto e un rallentamento dal 4,3% al 4,1% anno su anno.

Oltre la metà dell’aumento dell’inflazione headline è riconducibile ai prezzi delle abitazioni (affitti, alloggi, affitti equivalenti dei proprietari di case), la cosiddetta inflazione “shelter”, ma anche la benzina ha contribuito in misura importante.

Le possibili decisioni della Fed

I dati odierni avranno senz’altro un impatto sulle prossime delibere della Federal Reserve, dopo l’ultima riunione in cui il costo del denaro è rimasto inalterato. La sorpresa negativa sul fronte dell’inflazione complessiva suggerisce che i prezzi stiano rallentando più lentamente del previsto, anche a causa di un mercato del lavoro solido, sebbene l’impatto degli aumenti dei tassi già effettuati non si sia ancora pienamente trasmesso all’economia reale.

Le probabilità di un ulteriore incremento dei tassi entro fine anno rimangono limitate, viste anche le recenti dichiarazioni di diversi esponenti della banca centrale americana. Molti funzionari, infatti, concordano sul fatto che un’altra stretta possa essere evitata, dopo la crescita dei rendimenti obbligazionari delle ultime settimane che ha inasprito le condizioni di finanziamento, svolgendo parte del lavoro al posto della banca centrale.

Tuttavia, le difficoltà nel riportare stabilmente l’inflazione verso il 2% rafforzano la prospettiva di tassi che verranno mantenuti a lungo su livelli restrittivi. L’aumento mensile dell’indice core, pari allo 0,3%, non è ancora coerente con un ritorno dell’inflazione al target della Fed nel medio termine, obiettivo per il quale è necessario un rallentamento del ritmo di crescita entro lo 0,2%.

Ricordiamo infine che per le proprie decisioni la Fed non monitora soltanto questo report ma una serie di parametri, tra cui anche i dati sul mercato del lavoro e soprattutto l’indice core Pce, che traccia l’inflazione  legata alla spesa per i consumi personali, al netto delle componenti più volatili.

La reazione dei mercati dopo l’inflazione

I future sull’S&P 500, in rialzo di circa lo 0,4% prima del report, hanno registrato una breve fase di volatilità ma al momento viaggiano poco mossi, così come i contratti sul Nasdaq 100.

In aumento i rendimenti dei Treasury, sia sulla scadenza biennale (+8 bp al 5,06%) sia per quanto riguarda il decennale (+4 bp al 4,6%).

I future sui Fed Funds hanno registrato un aumento delle probabilità implicite di un nuovo aumento dei tassi, da parte della Fed, entro fine anno. Ora tale probabilità supera il 40%, mentre prima del rapporto era inferiore al 30%.

sul Forex, infine, il dollaro si rafforza nei confronti dell’euro trascinando il relativo cambio in ribasso a 1,057.

In crescita anche i prezzi alla produzione negli Usa

I dati odierni ricalcano in parte i numeri di ieri sui prezzi alla produzione di settembre, che hanno mostrato un’accelerazione dello 0,5% su base mensile rispetto allo 0,3% previsto, con l’indice core in crescita dello 0,3% contro lo 0,2% stimato. Su base annua, il PPI ha accelerato dal 2,5% al 2,7% mentre il dato core ha frenato dal 2,9% (rivisto al ribasso da 3%) al 2,8%.

Quest’ultimo parametro è il principale motivo per cui i mercati hanno sostanzialmente ignorato il report, in virtù del fatto che gran parte del rialzo dei prezzi complessivi è stato dettato dal rincaro dei prezzi energetici.

Sempre ieri sono state diffuse le minute dell’ultimo meeting del Fomc, da cui è emerso che la maggior parte dei membri del Fomc era favorevole ad un aumento dei tassi entro fine anno, anche se questa visione è stata parzialmente oscurata dai commenti più recenti dei responsabili di politica monetaria.