Dopo l’Ipo, Instacart ha raccolto 660 milioni di dollari. L’azienda, specializzata nella consegna di generi alimentari e la cui sede principale è a San Francisco, ha venduto complessivamente 22 milioni di azioni a 30 dollari l’una. Con una valutazione pari a quasi 10 miliardi di dollari. Una cifra elevata ma che è tuttavia inferiore rispetto al valore dell’azienda, che è stato stimato, dopo una prima raccolta di fondi avvenuta nel 2021, in 39 miliardi di dollari.
Con la quotazione Instacart ha collocato in Borsa poco meno del 10% delle azioni.
Il business di Instacart
In cosa consiste il business di Instacart? La società fornisce un servizio di consegne a domicilio. Attraverso una rete costituita da più di 600mila shopper freelance, l’azienda ritira gli acquisti in più di 80 mila negozi statunitensi.
Attraverso i suoi store è, inoltre, in grado di fornire delle soluzioni tecnologiche avanzate e delle etichette elettroniche. Ha dichiarato di avere qualcosa come 7,7 milioni di clienti attivi, che spendono mediamente 317 euro ogni mese direttamente sulla piattaforma.
Fidji Simo, l’amministratore delegato di Instacart, in una lettera agli investitori dello scorso mese, ha spiegato che il servizio di consegna di generi alimentari ha un enorme potenziale. Negli Stati Uniti, il solo settore degli alimentari muove un giro d’affari pari a 1,1 trilioni di dollari. Solo e soltanto il 12% degli acquisti passa attraverso internet. Le aspettative di Instacart è che questa percentuale possa raddoppiare nel corso dei prossimi anni.
L’azienda sta cercando di consolidare la propria posizione offrendo ai rivenditori una suite di prodotti e servizi tecnologici, attraverso i quali sviluppare i propri e-commerce. Ma non solo: hanno la possibilità di evadere gli ordini, digitalizzare i negozi fisici e, soprattutto, fornire dei servizi pubblicitari.
Grazie a Instacart Ads i marchi di largo consumo e quelli emergenti possono presentarsi al pubblico e fidelizzare i clienti. Attraverso Instacart Health vengono forniti degli strumenti per aumentare la sicurezza nutrizionale, rendere più facili le scelte salutari per i consumatori ed espandere il ruolo che il cibo può svolgere nel migliorare i risultati sanitari.
I problemi della gig economy
Instantcart è stata fondata nel 2012 ed è stata una delle tante start-up della gig economy, che hanno iniziato ad utilizzare una rete di collaboratori a contratto. L’obiettivo è quello di fornire dei servizi on demand, come la consegna del cibo a domicilio o le pulizie domestiche, utilizzando una semplice app sul cellulare. Molte di queste aziende hanno chiuso i battenti, altre, invece, sono state vendute. I maggiori player – tra i quali ricordiamo Lyft, DoorDash e Uber – stentano a realizzare un profitto.
Instacart, invece, è riuscita a guadagnare, espandendosi in attività più redditizie, come è, ad esempio, la pubblicità. Questo cambio di passo è avvenuto a seguito dell’arrivo di Fidji Simo, un ex dirigente di Meta Platforms, che è diventato amministratore delegato della società nel 2021. Nel corso del 2022 l’azienda ha registrato entrate per 2,5 miliardi di dollari, in aumento del 39% rispetto all’anno precedente. L’utile netto è stato pari a 428 milioni di dollari.
Soffermandosi, invece, sugli ordini ricevuti, dopo un’impennata da parte delle persone bloccate a casa durante il primo anno di lockdown dovuto alla pandemia, la crescita in questo segmento è rallentata nel 2021. L’anno scorso, i suoi ordini di generi alimentari sono cresciuti del 18% rispetto al 2021, mentre quelli della prima metà di quest’anno sono rimasti stabili rispetto al 2021.