Economia

Intelligenza artificiale, 8,4 milioni di lavoratori italiani a rischio. Donne soprattutto

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C’è un ampio consenso sul fatto che l’intelligenza artificiale rappresenterà un cambiamento epocale capace di rivoluzionare il nostro modo di vivere e lavorare. Le opinioni divergono sul se tale impatto sarà positivo o negativo. Da un lato, ci sono i catastrofisti che temono che l’IA possa costituire un rischio dal punto di vista lavorativo, come attesta la nota di Confartigianato secondo cui la diffusione dell’intelligenza artificiale metterà a rischio 8,4 milioni di lavoratori italiani; dall’altro lato, vi sono gli ottimisti che vedono nell’intelligenza artificiale un’opportunità per migliorare e ampliare le nostre conoscenze tecnologiche, come dice lo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che afferma che l’intelligenza artificiale generativa può aumentare i posti di lavoro anziché perderne.

Quali sono le regioni più a rischio all’Intelligenza artificiale: in testa la Lombardia

Il rapporto rivela inoltre che le regioni del centro-nord presentano la maggiore percentuale di lavoratori a rischio. In particolare, la Lombardia è in testa con il 35,2% degli occupati assunti nel 2022 maggiormente esposti all’IA, seguita dal Lazio (32%), Piemonte e Valle d’Aosta (27%), Campania (25,3%), Emilia Romagna (23,8%), e Liguria (23,5%).

Ecco la lista delle regioni:

  • Lombardia: 35,2%
  • Lazio: 32%
  • Piemonte e Valle d’Aosta 27%
  • Campania 25,3%
  • Emilia Romagna 23,8%
  • Liguria 23,5%
  • Sicilia: 23,2%
  • Friuli-Venezia Giulia: 22,9%
  • Veneto: 22,6%
  • Toscana: 21,1%
  • Calabria: 20,8%
  • Trentino-Alto Adige: 19,9%
  • Umbria: 19,9%
  • Puglia: 19,8%
  • Molise: 18,6%
  • Marche: 18,4%
  • Sardegna: 18,3%
  • Abruzzo: 17,5%
  • Basilicata: 16,7%

Inoltre, si evidenzia che l’espansione dell’IA coinvolge il 22,2% dei lavoratori assunti nel 2022 in piccole imprese, indicando che anche queste realtà sfruttano l’IA per ottimizzare operazioni. In effetti, il 6,9% delle piccole aziende italiane utilizza robot, superando la media europea del 4,6% e anche il 3,5% della Germania. Inoltre, il 5,3% delle piccole e medie imprese adotta sistemi di intelligenza artificiale, mentre il 13% ha progetti di investimento nell’applicazione dell’IA nel futuro.

Italia vs Europa: meno rischio rispetto ad altri paesi

La percentuale di lavoratori italiani maggiormente esposta all’IA (36,2%) è inferiore di 3,3 punti rispetto alla media europea (39,5%) e distante quasi 7 punti percentuali dalla Germania (43%) e oltre 23,2 punti dal Lussemburgo. Questo divario diventa più comprensibile considerando che, secondo Confartigianato, le professioni ad alto contenuto intellettuale e amministrativo sono quelle più vulnerabili all’IA, includendo tecnici dell’informazione, dirigenti amministrativi e commerciali, specialisti in scienze commerciali e amministrazione, specialisti in scienze e ingegneria, e dirigenti pubblici.

D’altra parte, le attività con minor rischio sono quelle che richiedono abilità manuali non standardizzate, inclusa l’expertise artigianale italiana che è insostituibile da robot o algoritmi e che genera prodotti e servizi di alta qualità che rendono unico il made in Italy. Questa prospettiva è sottolineata dal presidente di Confartigianato, Marco Granelli, il quale sostiene:

L’intelligenza artificiale è un mezzo, non è il fine. Non va temuta, ma governata dall’intelligenza artigiana per farne uno strumento capace di esaltare la creatività e le competenze, inimitabili, dei nostri imprenditori. Non c’è robot o algoritmo che possano copiare il sapere artigiano e simulare l’’anima’ dei prodotti e dei servizi belli e ben fatti che rendono unico nel mondo il made in Italy.

Maggiormente a rischio la forza lavoro femminile

Ma una voce fuori dal coro è lo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Secondo questo rapporto, l’intelligenza artificiale generativa ha maggiori probabilità di generare un aumento dei posti di lavoro anziché causarne la perdita, in quanto tende a automatizzare alcune mansioni anziché rimpiazzarle completamente. L’analisi suggerisce che la maggior parte delle posizioni lavorative e dei settori industriali è solo parzialmente esposta all’automazione e, piuttosto che essere eliminate, è probabile che subiscano integrazioni grazie all’IA generativa, come ad esempio GPT e Bard.

Il rapporto sottolinea anche che gli effetti dell’intelligenza artificiale generativa avranno delle differenze rilevanti tra uomini e donne, con più del doppio delle posizioni occupate da donne che potrebbero essere soggette all’automazione. Questo fenomeno è spiegato in parte dalla maggiore presenza delle donne in ruoli d’ufficio, soprattutto nei paesi a reddito medio e alto. Inoltre, si evidenzia che, mentre nei paesi in via di sviluppo i lavori d’ufficio hanno rappresentato una fonte significativa di occupazione femminile durante il processo di sviluppo economico, l’adozione dell’intelligenza artificiale generativa potrebbe comportare che alcuni di questi impieghi non si sviluppino mai nei paesi a basso reddito.

Dello stesso parere è il McKinsey Global Institute, che afferma che lavori come servizi di ristorazione, il servizio clienti, le vendite e il supporto per gli uffici entro il 2030 potrebbero ridursi, da 3,7 milioni a 2,0 milioni, e quasi otto donne su dieci perderanno o saranno costrette a cambiare la loro occupazione a causa dell’intelligenza artificiale. In generale, i lavoratori meno retribuiti saranno quelli più esposti.