I dati comunicati dall’Abi in merito alla ricchezza finanziaria degli italiani hanno registrato una flessione di 156 miliardi di euro nel corso dello scorso anno (leggi l’articolo), passando da 4.474 a 4.218 miliardi di euro. Abbiamo chiesto a Maurizio Bufi, presidente dell’Anasf un commento a questi numeri e possibili soluzioni per evitare il ripetersi di casi analoghi.
Bufi, a cosa è dovuta questa variazione negativa della ricchezza in Italia?
Il dato relativo alla flessione fa riferimento al 2018. Sappiamo tutti che è stato un anno pessimo per gli investimenti. Quasi tutte le asset class, con rare eccezioni, hanno registrato una performance negativa. In particolare ha pesato l’andamento dei mercati nel terzo trimestre per i timori di un’imminente recessione a seguito della guerra commerciale tra Usa e Cina. Se facessimo questa valutazione ora probabilmente avremo dei risultati un po’ diversi, visto il forte rimbalzo registrato dai listini internazionali nei primi tre mesi di quest’anno. Lo scenario di fondo è cambiato e come spesso accade chi si avventura nelle previsioni molto spesso sbaglia. C’è poi da evidenziare anche il fatto che c’è una montagna di liquidità ferma sui conti correnti, quasi 1400 miliardi di euro, che rende poco o nulla. Tra risparmiatori e imprese c’è un generale clima di insicurezza che regna sovrana e in questi casi la risposta più semplice all’incertezza è quella di rimanere liquidi.
Pensa sia una tendenza diffusa quella della liquidità?
Sarebbe utile vedere la composizione dei portafogli dei risparmiatori in relazione al loro intermediario di riferimento: consulenti finanziari, banche o Poste. Molto probabilmente ci potrebbe essere una sostanziale differenza visto che i portafogli dei consulenti sono impostati e articolati sulla pianificazione ed articolati in relazione alle esigenze di vita della clientela, per cui la quota di liquidità potrebbe essere inferiore a quelli impostati dagli altri intermediari, dove il servizio di consulenza è meno articolato. E’ evidente perciò che nei momenti di incertezza il ruolo del consulente è ancora più importante.
Cosa si può fare per evitare un andamento del genere in futuro?
Per evitare il ripetersi di queste situazioni ci vorrebbe un numero maggiori di consulenti finanziari in attività rispetto agli attuali 22.000, che gestiscono circa il 15% della ricchezza degli italiani. La parte restante è in mano a banche e Poste. Noi come Anasf siamo presenti su questo fronte per cercare di favorire il passaggio generazionale tra professionisti e promuovere i percorsi di formazione per accedere alla professione. Ad esempio il lavoro dei cf potrebbe essere organizzato sulla base di team e sulla sua naturale evoluzione (cioè la persona giuridica), in questo modo i senior potrebbero recuperare del tempo utile per una maggiore intraprendenza commerciale. La ricchezza in Italia è detenuta dalle fasce più adulte che sono però quelle più inclini a mantenersi liquide.
Gli italiani dove possono trovare un bravo consulente finanziario?
Ai risparmiatori alla ricerca di un consulente finanziario di fiducia voglio ricordare che possono trovare molte informazioni sul sito dell’OCF, l’organismo che gestisce l’albo professionale. Al suo interno sono iscritti i consulenti finanziari italiani, che sul mercato si confrontano con diversi modelli di business e organizzazione (abilitati all’offerta fuori sede attraverso le reti, le filiali bancarie e gli uffici postali, nonché gli autonomi e le società di consulenza).
Ma allora si prospetta un momento positivo per i professionisti della consulenza?
La quota di mercato delle reti di consulenza finanziaria continua a registrare una crescita positiva ma per fare il vero salto di qualità serve una maggiore valorizzazione della figura del consulente finanziario. Una figura professionale che non tutti gli italiani ancora conoscono. In questo senso tutti gli attori del sistema dovrebbero fare la loro parte, istituzioni, intermediari e anche i singoli consulenti in un’ottica di personal branding.