Intesa Sanpaolo intende aumentare la presenza all’estero, soprattutto in Cina, e sviluppare la banca online appena comprata, ITB. “È stata battezzata la “banca dei tabaccai” poiché si appoggia a una rete di 22.000 tabaccai”, ha precisato Carlo Messina, AD della banca, che in un’intervista a Les Echos ha specificato come il dossier Generali sia stato chiuso.
Quanto al problema annoso delle sofferenze iscritte nei bilanci delle banche italiane, secondo il manager “una bad bank ora non servirebbe a nulla”. Alla domanda del quotidiano finanziario francese sulle preoccupazioni della Commissione Europea sull’Italia, il manager ha sottolineato che “la ripresa economica è debole ma c’è”.
“La domanda di prestiti aumenta poiché ci troviamo di fronte a una ripresa del mercato immobiliare dopo la crisi che abbiamo vissuto in questi ultimi anni. Stiamo aiutando anche le imprese che hanno deciso di investire di nuovo, soprattutto per sostenere le esportazioni. Comprendo le preoccupazioni della Commissione Europea sulla crescita italiana, tuttavia quando si osserva un paese bisogna partire dagli elementi strutturali.
“L’Italia, in passato, non ha mai avuto un ritmo di crescita annuo nettamente superiore all’1-1,5%. Da questo punto di vista è più simile al Giappone che non ai suoi vicini europei. La penisola possiede un ingente volume di risparmio, un forte debito pubblico, che è il problema maggiore, e una crescita debole. Quello che era sostenibile un tempo non lo è più con la crisi che abbiamo appena attraversato, e il costo sociale è troppo importante. Il paese deve assolutamente ridurre il debito pubblico per rilanciare il tasso di crescita, diminuire la disoccupazione e aumentare gli investimenti”.
La debolezza del settore bancario è anch’essa motivo di preoccupazione per l’Italia…
Il settore bancario presenta indubbiamente degli elementi di debolezza, primo fra tutti i crediti deteriorati (NPL). Tuttavia il livello di garanzia di questi crediti consente alle banche come la nostra, che hanno elargito come dovevano questi crediti, di lavorare in modo efficace per ridimensionarne il volume. Per quanto ci riguarda, in diciotto mesi li abbiamo ridotti di 7,5 miliardi di euro senza accusare perdite. Ma per riuscirci occorre una vera e propria macchina interna paragonabile a un fondo di «private equity». E’ quello che abbiamo fatto ed entro due anni contiamo di poter tornare ai livelli di NPL pre-crisi.
Le istituzioni europee starebbero pensando all’istituzione di una «bad bank» per risolvere definitivamente il problema. Cosa ne pensa?
Non servirebbe a nulla. Quello che occorre è che ciascuna banca rafforzi la sua struttura interna di riscossione dei crediti deteriorati. Se mai si doveva creare una «bad bank» europea, lo si doveva fare cinque anni fa. Oggi, onestamente, sarebbe troppo tardi e tra l’altro inciterebbe le banche a non realizzare gli investimenti necessari per introdurre al loro interno le strutture necessarie a riscuotere gli NPL.
Lei ha di recente dichiarato di non aver voluto investire di nuovo nel fondo Atlante creato dal governo a tal scopo. Il fondo ha fallito nella sua missione?
No, ha avuto il vantaggio di scongiurare il rischio sistemico che gravava sul settore bancario del paese. Ho sempre pensato d’altronde che il fondo Atlante dovesse investire molto di più sul dossier dei crediti deteriorati e non concentrarsi anche sull’aumento di capitale delle banche in difficoltà. Si sarebbe dovuto insistere sulla causa delle loro difficoltà che era, appunto, la massa dei crediti inesigibili che provocava, dopo la loro vendita, un bisogno di ricapitalizzazione. Il fondo Atlante è stato un fattore oneroso per il sistema bancario, ma era il prezzo da pagare per la sua stabilità.
Intesa Sanpaolo ha pubblicato risultati lusinghieri nel primo trimestre con un utile netto di 901 milioni di euro superiore a quello di un anno fa. Come ci siete riusciti?
I risultati del primo trimestre confermano che il nostro business model è vincente. Ormai siamo dei veri esperti di gestione patrimoniale europea e disponiamo della prima rete retail italiana. Il nostro livello di solvibilità e la nostra gestione dei costi ci consentono di figurare tra i migliori in Europa. I nostri risultati operativi sono tra i più elevati se considerati rispetto alle banche più simili alla nostra. È un business model sostenibile che si fonda sulla forza del risparmio degli italiani. Al momento gestiamo 860 miliardi di euro di cui 320 miliardi di attivi, in aumento di 80 miliardi in questi ultimi tre anni.
Quali saranno le grandi linee del vostro piano industriale futuro in fase di elaborazione?
Il primo asse consisterà nell’aumentare la nostra impronta sul risparmio gestito. Abbiamo già convertito 80 miliardi di euro di semplice risparmio in attivi gestiti, e il potenziale è di altri 200 miliardi di euro circa. L’obiettivo del nostro piano consisterebbe nel convertire un centinaio di miliardi di euro. L’altro asse principale sarà diventare uno dei cinque primi attori del segmento delle polizze rischio in Italia contro il quindicesimo posto che ricopriamo attualmente. Questo richiederà soprattutto investimenti nel personale. Ci siamo già riusciti nel settore delle assicurazioni vita, passando dal quindicesimo posto di qualche anno fa al primo posto oggi.
Inoltre svilupperemo la banca online che abbiamo appena comprato, ITB, che è denominata la «banca dei tabaccai» poiché si appoggia a una rete di 22.000 tabaccai che potrebbe arrivare a 40.000. L’abbiamo ribattezzata «Banca 5» dal momento che offriremo cinque semplici prodotti attraverso quella che è una vera e propria banca di prossimità. Questo ci consentirà, tra l’altro, di chiudere delle agenzie bancarie. Benchè il fulcro di Intesa Sanpaolo resti l’Italia, intendiamo anche aumentare la nostra presenza all’estero, e in particolare in Cina dove già possediamo il 15% di Bank of Qingado e il 49% del fondo Penghua.
Ha dovuto rivedere la sua strategia dopo il fallimento del progetto di integrazione con Generali?
Rientra nei doveri di un amministratore delegato esaminare le opzioni di crescita ed è quanto abbiamo fatto nel caso di Generali. Tuttavia tra i doveri di un amministratore delegato rientra anche quello di creare valore per gli azionisti. Quando siamo giunti alla conclusione che questa esigenza non poteva essere soddisfatta, abbiamo chiuso il dossier. Il nuovo piano di impresa, che presenteremo all’inizio del 2018, prevederà un ulteriore notevole rafforzamento nel wealth management, sviluppando le nostre capacità interne di crescita.