Roma (WSI) – L’ultimo sondaggio effettuato da Morgan Stanley per conto dei suoi clienti dice tutto. Il capo economista della banca d’affari americana, Joachim Fels, scrive che non c’è un singolo investitore che ritiene che che l’economia mondiale abbia la capacità di rimbalzare, nel corso di quest’anno.
Soltanto un quarto degli intervistati si aspetta un ritorno alla crescita, tra l’altro nel lungo termine. Altri, il 57%, stimano che invece non ci sarà la possibilità di fuggire dalle condizioni “crepuscolari” dell’attuale scenario dell’economia occidentale, mentre il 20% prevede una recessione globale in piena regola. Eppure gli stessi investitori che sono così negativi sulla crescita rimangono incredibilmenre ottimisti sia sulle azioni che sul mercato immobiliare.
I gestori scoprono di avere una view prevalentemente rialzista sull’azionario. “Questa esuberanza schizofrenica – scrive il giornalista Ambrose Evans-Pritchard del quotidiano di Londra, Telegraph – si basa sul presupposto che le politiche di allentamento monetario delle diverse Banche centrali continueranno a inondare i mercati con ingente liquidità”.
Ben l’80% degli intervistati ritiene infatti plausibile che la Bce taglierà ancora i tassi; la metà pensa che Mario Draghi si unirà alla fine al club delle Banche centrali, quella americana e quella giapponese, piegandosi alla politica del QE. Almeno quattro gestori su cinque sono convinti che le azioni continueranno di conseguenza ad apprezzarsi anche l’anno prossimo, sfruttando questa sorta di “compiacimento” diffuso.
“E ‘diventato molto chiaro – e molti investitori sono molto espliciti su questo argomento – che i mercati sono cullati dal richiamo della liquidità derivante dal convivere con tassi di interesse reali negativi e una quantitative easing globale”, ha sottolineato il capo economista di Morgan Stanley. Da qui si capisce quello che stiamo assistendo in Borsa in questo mese di maggio: ossia a un mercato rialzista. Altro che “Sell in May and Go Away”.
Ma gli stessi analisti di Citi, nel luglio 2007, l’avevano segnalato. “Quando la musica si fermerà, in termini di liquidità, le cose si complicheranno. Ma fino a quando la musica suona, ci si alza e balla. E noi siamo ancora qui a ballare”. Il giornalista del Telegraph osserva: “Sfido chiunque a spiegare che cosa sia la liquidità. Alla fine della giornata, forse qualcuno potrebbe dire che è solo propensione al rischio. Tutto questo può svanire in un secondo”.
Il problema di fondo lo mette a fuoco Stephen Lewis, economista della boutique di investimento, Monument Securities, quando segnala che i mercati azionari sembrano pensare che ci troviamo a vivere un gioco in cui non ci sono perdenti. Ma l’esperto è anche convinto che quando si affaccerà la possibilità che la Fed decida di chiudere leggermente i rubinetti della liquidità, il vento potrebbe davvero cambiare. Lewis cita il verbale della riunione della Fed datato 19 e 20 marzo, che mostrava crescente preoccupazione in merito a una nuova bolla speculativa.
Si tratta di una preoccupazione condivisa dal Fondo monetario internazionale. L’ex governatore della Fed, Frederic Mishkin, ossia l’alter ego di Ben Bernanke, ha avvertito che la Fed potrebbe lottare per tirarsi fuori dal QE a partire dal 2014. Il motivo? “Più a lungo si va avanti, più diventa pericoloso”. A suo avviso l’aumento dei tassi a lungo andare potrebbe portare a una disfatta del mercato obbligazionario, facendo accusare grandi perdite al portafoglio di investimento della Fed, pari anche a 3.000 miliardi di dollari.
L’analisi di Mishkin evidenzia che la Banca centrale americana è fortemente esposta perché ha allungato la scadenza media dei titoli obbligazionari a 11 anni. Secondo il suo ragionamento più si rimanda la data di scadenza, più le perdite potenziali sono maggiori in quanto i rendimenti saliranno. In sostanza potrebbe concretizzarsi lo scenario di alta inflazione a lungo tanto temuto dai “QE scettici”, con rendimenti a due cifre entro la fine del decennio del 2020.
Nel riportare le opinioni degli altri, Evans-Pitchard precisa tuttavia che non necessariamente condivide le opinioni di cui sopra. Tanto che a suo avviso, “gli investitori di Morgan Stanley che ritengono che la politica delle banche centrali sia ‘espansionistica’, svagliano. Il monetarista Scott Summer ci ricorda infatti che l’offerta di moneta è scarsa, specialmente in Europa”.
“Esiste poi – continua l’editorialista – l’assunto quasi universale – condiviso dalla maggior parte dei membri della Bce – che bassi tassi di interesse significhino perdita di denaro. Ma questo è un discorso antidiluviano. Il Giappone ha avuto tassi vicini allo zero per 16 anni, eppure è scivolato ancora di più nella deflazione. Zero non significa niente”.