ROMA (WSI) – «Per certe cose sono un grande ingenuo, ma per altre mi si attiva “l’allertometro”…». Parola di Jorge Mario Bergoglio, quando ancora era arcivescovo di Buenos Aires, riferite agli episodi di corruzione che coinvolgono ecclesiastici. E l’«allertometro» sembra entrato effettivamente in vigore Oltretevere: secondo diverse fonti, lo scorso 4 luglio la magistratura vaticana avrebbe emesso una disposizione che proibisce di distruggere o manomettere i documenti dello Ior. Un atto senza precedenti, preso autonomamente, senza il placet della Segreteria di Stato. Una disposizione indicativa di una nuova volontà di affrontare i problemi più spinosi senza accontentarsi di comode operazioni di maquillage.
Come si ricorderà, lunedì 1° luglio il direttore generale dell’Istituto per le Opere di Religione, Paolo Cipriani, e il suo vice, Massimo Tulli, avevano rassegnato le dimissioni. Decisione arrivata dopo le imbarazzanti rivelazioni dell’inchiesta su monsignor Nunzio Scarano, il prelato dell’Apsa che usava più di un conto nella «banca vaticana» per fare spericolate operazioni finanziarie, tutte con l’approvazione della direzione dello Ior.
Nei giorni successivi però i due ex manager indagati continuavano a girare all’interno dell’Istituto. Poi nel Torrione di Nicolò V è arrivato anche un terzo indagato, l’avvocato Michele Briamonte. La presenza contemporanea dei due manager e del legale ha reso la situazione ancora più problematica. Briamonte, legale dell’istituto e di Cipriani, è indagato per insider trading nell’inchiesta sul Monte dei Paschi, e coinvolto anche nell’incidente avvenuto nei mesi scorsi all’aeroporto di Ciampino, quando gli agenti della Guardia di Finanza volevano effettuare dei controlli sul suo bagaglio al momento in cui usciva dal suo jet privato, insieme a uno dei segretari del cardinale Tarcisio Bertone. I controlli non erano stati effettuati perché Briamonte aveva esibito un passaporto diplomatico vaticano, pretendendo di non essere sottoposto all’ispezione.
Il nuovo presidente dello Ior, Ernst von Freyberg, aveva più volte ripetuto nel corso delle rassicuranti interviste che Briamonte non era più legale dello Ior ed era stato allontanato dall’Istituto. Perché allora c’è ritornato, e secondo alcuni testimoni anche più volte? E perché lo ha fatto nello stesso giorno in cui erano presenti anche i dimissionari Cipriani e Tulli, peraltro in un momento in cui anche lo stesso presidente von Freyberg risultava essere in sede?
In seguito a questi avvenimenti, la magistratura vaticana è intervenuta con la disposizione: nessun documento dello Ior, in qualsiasi formato, può essere distrutto, manomesso o spostato. È un nuovo colpo di scena, ma probabilmente non l’ultimo, della recente saga sullo Ior.
Che Papa Bergoglio avesse una particolare allergia per certe operazioni opache, non è mai stato un mistero. «Bastava leggere – suggerisce un prelato che segue da vicino queste vicende – un piccolo paragrafo del suo dialogo con il rabbino Abraham Skorka pubblicato nel libro “Il cielo e la terra”…». In effetti in quel volume, oggi tradotto in molte lingue, Bergoglio riferiva un episodio accaduto poco dopo la sua nomina a vescovo ausiliare, agli inizi degli anni Novanta, «nell’epoca dell’uno a uno», cioè nel momento della crisi economica, quando il peso argentino era equiparato al dollaro statunitense. «Vennero a trovarmi al vicariato di Flores – raccontava il cardinale – due funzionari ufficiali, dicendo che avevano del denaro per i quartieri poveri. Si presentarono come ferventi cattolici, e dopo un po’ mi offrirono 400 mila pesos per interventi di miglioria nelle zone povere. Per certe cose io sono un grande ingenuo, ma per altre mi si attiva “l’allertometro”. E quella volta funzionò».
Bergoglio chiese infatti «dettagli sui progetti» e i suoi interlocutori finirono per dirgli che «dei 400 mila pesos per cui avrei firmato una ricevuta, me ne avrebbero dati solo la metà». Il futuro Papa trovò il modo di sottrarsi, una «scappatoia elegante»: «Dato che i vicariati di zona non hanno conto in banca, e io nemmeno, dissi che dovevano depositarli direttamente in curia, dove accettano solamente donazioni in assegni o dietro distinta del deposito bancario. I due sparirono. Se questi individui, a colpo sicuro, erano arrivati con una proposta del genere, presumo che qualche ecclesiastico o religioso si fosse prestato in precedenza a quell’operazione».
Sarebbe bastato poi prestare attenzione alle parole del nuovo Pontefice che sogna «una Chiesa povera e per i poveri», per capire che egli avrebbe attuato fino in fondo il processo sulla trasparenza fortemente voluto da Benedetto XV. Diversi cardinali erano rimasti insoddisfatti delle spiegazioni loro fornite sulle vicende della «banca vaticana» dal cardinale Bertone durante le congregazioni generali pre-conclave: che anche lì ci fosse da riformare, era evidente a tutti. In questi mesi è emerso che il sistema di controlli non aveva funzionato e non funziona, nonostante le rassicurazioni di von Freyberg e del direttore dell’Aif René Brülhart. Così Papa Francesco il 15 giugno ha nominato prelato ad interim dello Ior – carica vacante – il direttore della Casa Santa Marta, Battista Ricca. Un uomo di sua fiducia, che per statuto ha la possibilità di visionare tutti i documenti della «banca vaticana», e visto il ruolo di amministratore del «convitto» dove Bergoglio risiede, condivide frequentemente la tavola con lui.
L’arrivo di Ricca nel Torrione di Nicolò V è stato decisivo per accompagnare gli eventi, clamorosi, che sono seguiti. Il prelato, che continua a godere della fiducia del Papa, ha un carattere forte e non riveste i suoi pensieri di parole diplomatiche: «Non le manda certo a dire», confida uno dei collaboratori dell’Istituto. I ritardi nello screening dei conti dello Ior e dell’adeguamento alle norme antiriciclaggio, e le inchieste della magistratura italiana che coinvolgevano il management della banca, hanno reso necessario il passo ulteriore, deciso personalmente da Francesco: la costituzione, con apposito «chirografo» papale, di una commissione «referente» d’inchiesta, presieduta dal cardinale Raffaele Farina, incaricata di indagare a fondo sulle attività dello Ior e di riportare passo dopo passo le risultanze direttamente al Pontefice. Consegnando a lui, al termine dei lavori, anche tutto l’archivio con la documentazione raccolta.
Prima di intervenire con le riforme, Bergoglio vuole rendersi ben conto di quanto accade nell’Istituto e soprattutto fare in modo che – al di là delle responsabilità personali – un certo e ben ramificato sistema venga definitivamente estirpato.
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