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Iraq: Produzione di petrolio, rilancio allo studio

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Gli Stati Uniti stanno mettendo a punto il piano per rilanciare la ricerca e la produzione petrolifera in Iraq. E non è escluso che entro le prossime due settimane la proposta di legge arrivi in Parlamento per l’approvazione finale. Teoricamente la nuova legge prevede l’apertura alla ricerca e alla produzione di privati attraverso accordi di Production sharing che consentirebbero alle società di operare a livello regionale, pur lasciando allo stato la proprietà finale delle risorse. La legge petrolifera elaborata con l’aiuto di esperti americani consentirà alle società petrolifere di ottenere circa il 75 per cento delle entrate previste, recuperando in primis i costi di ricerca, sviluppo, produzione e infrastrutture. L’intento del Governo è quello di portare la produzione petrolifera dai circa due milioni di barili al giorno attuali a 4-4,5 milioni di barili, cioè non lontano dai livelli raggiunti nel 1979. Le entrate di valuta estera passerebbero da 11 a 32 miliardi di dollari. Già nel 2003 l’amministratore americano in Iraq, Paul Brenner, ha, con grandi polemiche, “privatizzato” l’industria petrolifera e invitato le majors a operare nel Paese, ma le condizioni giuridico-politiche non sono certamente tali da invogliare eventuali investitori. Il decreto rimane lettera morta e viene successivamente cancellato. Ora il tentativo di ripartire. Ma le difficoltà non mancano e riguardano sia aspetti legali sia giuridici connessi tanto alla credibilità legale del nuovo Stato iracheno quanto alla futura struttura federale a cui si aggiungono ovviamente le note gravissime questioni militari e di sicurezza. Non a caso le grandi società petrolifere, pur interessate a crearsi posizioni per il futuro, si guardano bene dall’investire senza le adeguate garanzie: in particolare investimenti fatti oggi potrebbero creare non pochi problemi finanziari e legali alle società petrolifere che vedrebbero aumentare a dismisura il loro profilo di rischio nei confronti di banche e azionisti. Pertanto, l’applicazione sul breve periodo della nuova legge petrolifera appare a dir poco dubbia. In termini teorici le prospettive petrolifere dell’Iraq sono uniche al mondo. Le riserve petrolifere accertate ammontano a circa 115 miliardi di barili, per il 60 per cento concentrate nel Sud. Quelle probabili ammontano a circa 200 miliardi di barili, quelle valutate all’interno dell’industria petrolifera a 350 miliardi di barili, ovvero quanto se non più dell’Arabia Saudita. Le stime sulle riserve si basano su dati geologici elaborati alla fine degli anni ’70 che coprono il Nord e il Sud del paese, poco o niente si sa della parte centrale. Lo sviluppo dell’industria petrolifera irachena richiederà enormi investimenti, circa 170 miliardi di dollari secondo alcune valutazioni, anche perché è dal 1979 che tutto è fermo a causa dei vari conflitti. I giacimenti vanno sistemati, le infrastrutture sono al collasso e sono tenute malamente in piedi solo dalla bravura dei tecnici iracheni. Quanto a nuove ricerche nulla ovviamente è stato fatto. Gli Stati Uniti hanno sottostimato l’ammontare delle risorse finanziarie e tecniche necessarie per il rilancio del settore. Si parla in precedenza di circa 10-15 miliardi di dollari nel 2003, meno del 10 per cento di quanto necessario, ma ne vengono spesi sì e no 8 miliardi. Potenzialmente entro circa vent’anni l’Iraq potrebbe produrre da 7 a 12 milioni di barili al giorno, sufficienti a soddisfare la domanda mondiale aggiuntiva di petrolio prevista per il 2030, anche se per ora non sembrano esserci le condizioni per un rilancio su grande scala.