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Istanbul: tre attentati all’aeroporto, 41 morti

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ISTANBUL (WSI) – In Turchia non c’è pace: tre attentati simultanei hanno colpito la capitale Istanbul, facendo almeno 41 morti. Come a marzo a Bruxelles, è il maggiore aeroporto del paese a finire sotto attacco. Anche stavolta ad agire potrebbe essere stata una cellula dell’ISIS, sebbene per il momento non ci sono rivendicazioni ufficiali e sebbene tra i sospetti ci sia anche l’altro nemico giurato del governo turco: i curdi indipendentisti.

È stato il primo ministro turco Binali Yildirim a confermare la pista del gruppo terrorista jihadista. Almeno tre attentatori armati di kalashnikov hanno aperto il fuoco intorno alle 22 locali ai controlli di sicurezza nella zona degli arrivi dell’aeroporto Ataturk provocando – il bilancio è ancora provvisorio – 41 morti e 239 feriti. Poco dopo, si sono fatti saltare in aria durante uno scontro a fuoco con la polizia. Tra le vittime vi sono almeno 13 stranieri, di cui tre con doppia cittadinanza, gli altri sono cittadini turchi. Dei feriti, 103 sono stati dimessi dopo le prime cure.

Ma il commando, secondo fonti di polizia, sarebbe stato composto da 7 persone, di cui altre 3 sarebbero in fuga e 1 arrestata. Le indagini, che puntano dritte verso la pista jihadista, sono comunque appena all’inizio. Secondo il governo comunque tutto porterebbe all’Isis. Le esplosioni udite nello scalo sono state almeno tre. Sul posto sono giunte una trentina di ambulanze, mentre alcuni testimoni raccontano di scene drammatiche con feriti portati via anche in taxi. Almeno sei risultano in gravi condizioni.

Non si hanno ancora notizie sull’identità delle persone coinvolte. Ingressi e uscite dell’aeroporto sono stati subito chiusi, mentre diversi voli in arrivo sono stati dirottati altrove e quelli in partenza cancellati. Lo scalo non riaprirà fino alle 20 di oggi.

Vendetta dell’ISIS

L’aeroporto Ataturk ha un doppio sistema di controlli di sicurezza, il primo dei quali all’ingresso dello scalo, ancor prima di arrivare ai banchi di accettazione. È lì che è avvenuto almeno uno degli attacchi, mentre spari sono stati uditi anche in un parcheggio vicino. L’azione terroristica è stata confermata direttamente dal ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag. Le autorità, ha aggiunto, hanno già forti sospetti su un’organizzazione, che però non sono ancora stati confermati.

Anche una fonte della polizia – riportata dai media locali – ha indicato che ci potrebbe essere la mano dell’Isis dietro l’attentato. Ma il bilancio definitivo dell’attacco, come la dinamica, restano ancora da chiarire. Sulle immagini dal luogo dell’attentato, come avviene regolarmente in Turchia in casi simili, è stata imposta una censura ai media.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha condannato l’attacco, ricordando che è avvenuto durante il mese sacro islamico del Ramadan. Messaggi di solidarietà sono giunti alla Turchia da tutto il mondo. Solo 20 giorni fa, Istanbul era stata colpita da un altro attacco bomba vicino all’Università statale, che aveva fatto 12 morti ed era stato rivendicato dal gruppo estremista curdo Tak.

A gennaio e marzo, altre due azioni terroristiche, attribuite all’Isis: quella nel centro turistico di Sultanahmet, in cui sono morti 12 tedeschi, e quello nella via dello shopping Istiklal, che ha ucciso 4 turisti. Altri due attacchi quest’anno hanno colpito la capitale Ankara, con decine di morti, mentre più di 100 persone avevano perso la vita in quello del 10 ottobre contro un corteo filo-curdo, sempre nella capitale turca.

Ora, questo nuovo attentato rischia anche di dare il colpo di grazia al turismo, che a maggio aveva fatto registrare il crollo peggiore dal 1994. La Turchia è impegnata nella guerra per procura siriana, a fianco della coalizione che punta alla caduta di Bashar al-Assad. Il governoe è stato anche accusato di sostenere in qualche modo l’ISIS, tra le forze ribelli anti regime.

L’attacco potrebbe essere un’azione vendicativa consumata dal gruppo di al Baghdadi contro il presidente turco Erdogan che negli ultimi tempi pare abbia ceduto alle pressioni di Stati Uniti e Russia, smettendo di aiutare, addestrare e finanziare il movimento il cui ultimo scopo è quello di ricreare un califfato islamico in Medioriente.