Saranno quasi tre decenni da quando Alitalia (oggi Ita Airways) è in crisi. E sono ormai decenni che i Governi italiani non riescono a cederla definitivamente ai privati. L’ultimo accordo dovrebbe garantire alla compagnia di bandiera tedesca, Lufthansa, il controllo dell’ultima quota azionaria rimasta nelle mani dello Stato, finendo così tutto il processo di privatizzazione iniziato col Governo Prodi I.
Eppure sembra che ci siano delle problematiche in merito all’accordo finale con Lufthansa. Dopo la polemica scoppiata quest’estate in merito alla mancata notifica dei nuovi accordi da parte del Governo Meloni nei confronti della Commissione Europea, necessari per poter autorizzare la cessione della pubblica. Di recente, anzi, il governo vuole ancora una volta intervenire sull’accordo, anche se in questo caso di tratta di una formalità.
Da Alitalia a Ita, una lunga storia di privatizzazioni
Per cinquant’anni, dal suo primo volo nel 1947, Alitalia è sempre stata “la” compagnia di bandiera nazionale, un fiore ad occhiello anche della ripresa economica del Paese dopo la seconda guerra mondiale. Ma alla fine della Prima Repubblica Alitalia, così come molte aziende di bandiera, hanno dovuto affrontare un conto molto salato, dovuto ad una cattiva gestione amministrativa. Dalla sua nascita nel 1946 Alitalia è costata ai contribuenti 12 miliardi di euro.
Una cifra terrificante per le finanze dello Stato, da qui la decisione di procedere alla sua privatizzazione. Un processo non facile, divenuto anzi quasi eterno se si conta che la prima privatizzazione è datata 1996, col governo Prodi I: lo Stato cede il 37% della compagnia che si quota in Borsa. Non sufficiente, ancora lo Stato detiene la maggioranza delle quote, e ogni anno deve sostenere i gravosi bilanci. Si cerca allora un partner industriale: si presentò la KLM, la compagnia di bandiera olandese.
Arriva poi la seconda privatizzazione, datata 2006. Sono passati 5 anni dalle Torri Gemelle, e molte compagnie aeree sono in crisi a causa del terrore di essere nuovi vettori di un altro attacco terrorismo. Anche Alitalia è in crisi, e il Governo Prodi II cede un altro 39%, stavolta alla nuova concordata franco-olandese Air France-KLM.
Le trattative passano di governo in governo, e durante il Governo Berlusconi IV, come ricorda il Post, il Cavaliere decide di “preservare l’italianità della compagnia“: parte di Alitalia andrà alla Cai (Compagnia aerea italiana) di Roberto Colaninno, mentre il resto rimarrà a carico dello Stato. Ma ancora l’azienda perde, a causa della bad company detentrice dei debiti e degli oneri. Malgrado il nuovo partner industriale di Etihad nel 2014, Alitalia non riesce a riprendersi, arrivando a perdere quasi un milione al giorno. E così arriva l’ultima crisi, a partire dal 2016, con tanto di “prestito illegale” nel 2019. Nel frattempo Alitalia diventa Ita Airways, e si è cercato di concludere definitivamente la privatizzazione.
L’accordo finale tra Ita Airways e Lufthansa
È il 15 ottobre 2021: la storica compagnia di bandiera Alitalia diventa Ita Airways. Ma a parte il nome, l’allora Governo Draghi ha dovuto confermare la proprietà della compagnia aerea nelle mani del ministero dell’Economia. Durante il suo governo si è cercato ulteriori partner, fin quando, col passaggio di consegne all’attuale premier Giorgia Meloni, si è preferito mantenere la compagnia all’interno dei bilanci pubblici. E questo nonostante ci fosse da tempo un acquirente all’orizzonte: Lufthansa.
Prima la proposta è ad una cordata MSC Crociere – Lufthansa, ma siamo nell’estate del 2022, quando Draghi dà le sue dimissioni. La cordata salta, ma Lufthansa rimane comunque interessata, e il 18 gennaio 2023 arriva un’offerta ufficiale: la compagnia tedesca vorrebbe acquistare il 40% (poi divenuto 41%) delle quote a carico dello Stato. All’inizio il Governo Meloni voleva mantenere fede alla linea di una compagnia statale, ma tra le continue perdite e la concorrenza delle altre compagnie, l’Esecutivo alla fine ha cambiato idea. Anche perché sembrerebbe, secondo la ricostruzione di Fanpage, che con l’accordo Ita Airways – Lufthansa la compagnia tedesca vorrebbe partire con questo 40-41% per arrivare a controllare il 100% dell’azienda. Quindi a concludere definitivamente la privatizzazione iniziata 30 anni prima.
Davanti all’ambizioso piano industriale 2023-2027, con una previsione di crescita dai 2,5 miliardi di euro del 2023 ai 4,1 miliardi di euro del 2027, arriva però il primo problema: la Commissione Europea blocca l’operazione. In realtà è solo una prassi, una semplice istruttoria per controllare che l’accordo tra un’azienda pubblica e una privata europea rientri nelle norme. Anche perché ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro, che verrebbero a meno se nei nuovi accordi non venisse ribadita la discontinuità tra la passata Alitalia e la nuova Ita Airways. Cosa che in effetti non era stata precisata agli inizi.
Non più Alitalia, ma solo Ita: il Governo riconosce la discontinuità
Anche se si tratta di una “formalità”, la distinzione tra Alitalia e Ita Airways è in realtà decisiva per la conferma di questo nuovo accordo. Recente è infatti la conferma del governo italiano, a confermare che la nuova compagnia è cosa diversa da quella vecchia, cioè Alitalia. Il Governo ha dovuto mettere il punto di questa situazione per via delle nuove norme relative alla “cessione di complessi aziendali da parte di aziende ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria“, citate dal Corsera.
Queste norme prevedono che se non c’è continuità economica, viene a meno quanto previsto dall’articolo 2112 del Codice civile: ovvero la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario, e a sua volta la conservazione di tutti i diritti del lavoratore. C’era infatti il problema del ramo Aviation, legato ad Alitalia, venduto a Ita nell’ottobre 2021, grazie al quale sono stati vinti diversi contenziosi di lavoro avviati dagli ex dipendenti. Tali cause mettevano il punto sul fatto che ci fosse stato un passaggio del ramo aziendale, cosa che ora, stando a Bruxelles, non è così.
Anche se a danno dei lavoratori, questa misura gioca a favore del Governo. La stessa Lufthansa avrebbe esercitato il diritto di recesso se fosse venuta a meno questa discontinuità. E dato che le cause degli ex dipendenti volevano ribadire invece il contrario, c’era il rischio che tutto saltasse, mandando in fumo un piano industriale che avrebbe potuto risollevare un’azienda ormai segnata nella storia per i suoi debiti, e non per i suoi pregi.