di Antonella Massari, Segretario Generale AIPB (Associazione Italiana Private Banking)
Il new deal europeo, per le ingenti risorse che ci vengono concesse, investe la nostra economia di enormi responsabilità.
È quindi rilevante chiedersi se lo stimolo economico pubblico previsto nei prossimi 5 anni, benché necessario, possa essere sufficiente da solo a sostenere una crescita del PIL superiore a quella del debito pubblico.
La ricetta keynesiana di sostegno all’economia si collocava in un contesto molto distante da quello odierno, caratterizzato da tassi demografici in calo e processi produttivi trasformati dalla tecnologia. Gli effetti delle politiche contemporanee a Keynes non sono necessariamente replicabili nel lungo periodo come lo sono stati nel breve: è indispensabile, dunque, riconoscere il necessario contributo dell’investimento privato. Un privato, nel caso dei detentori italiani di patrimoni, tutt’altro che indifferente, ma interessato a dare il proprio apporto con investimenti di lungo periodo.
Secondo le indagini realizzate da Ipsos per AIPB, nel segmento Private il 65% della clientela si dice favorevole agli investimenti in economia reale, percentuale che sale col crescere della disponibilità patrimoniale. Inoltre, sempre i clienti Private, sarebbero disposti a detenere il 16% del loro patrimonio per almeno 10 anni in investimenti illiquidi, in cambio di rendimenti interessanti (o incentivi fiscali). Oggi, tuttavia, le strategie specializzate in economia reale sono pari solo allo 0,4% dei portafogli finanziari: è chiaro che esiste un cortocircuito che impedisce alle intenzioni di trasformarsi in azioni.
Le prime evidenze di una nostra ricerca in via di finalizzazione dimostrano come lo stimolo privato all’impresa abbia prodotto, nell’arco degli ultimi tre anni, una crescita del 240% e le imprese finanziate attraverso FIA selezionati dal Private Banking abbiano avuto una crescita mediamente superiore del 10%. Saper scegliere dove investire fa, dunque, la differenza.
Le risorse pubbliche per quanto necessarie non possono produrre multipli simili. Ma la forza combinata dell’impulso pubblico con quello privato può innescare un circolo virtuoso in grado di dare un’accelerazione allo sviluppo dell’impresa e all’innovazione. L’industria del Private Banking può giocare un ruolo chiave, sotto il profilo culturale, economico e finanziario: non sono i capitali a mancare, in un Paese dotato storicamente di risparmio privato sopra la media europea.
È la struttura del capitalismo italiano che richiede una revisione profonda per rendere più permeabile l’economia reale ai flussi di capitale e indirizzarli verso la dorsale della nostra economia, le PMI.
Servono interventi strutturali sul mercato dei capitali che introducano incentivi e regole. La nostra Associazione si è più volte soffermata sulle azioni che si potrebbero intraprendere per alimentare il trasferimento virtuoso delle risorse dai privati alle imprese. Tema centrale rimane l’affermarsi di un’offerta adeguata.
Ancora oggi il nostro Paese presenta caratteristiche culturali che non favoriscono lo sviluppo dei cosiddetti private market, che permetterebbero al risparmio privato di affluire agevolmente verso le attività produttive e le infrastrutture: le occasioni di investimento per i risparmiatori sono ancora troppo limitate. A questo si aggiunge una ridotta presenza di professionalità esperte nella selezione delle opportunità presenti sul territorio nazionale. Si tratta di figure indispensabili, perché il loro lavoro riduce l’asimmetria informativa fra chi offre e chi richiede capitali, divario strutturalmente complesso da colmare nel caso delle PMI.
A questi aspetti si lega l’auspicio di accelerare la creazione di una definizione armonizzata a livello europeo della categoria intermedia di investitori semi professionali, basata sulla dimensione minima del portafoglio finanziario (superiore a 500mila euro) e sul livello di servizio (consulenza finanziaria di portafoglio e/o gestione patrimoniale). Una categorizzazione di questo tipo servirebbe a rimuovere i limiti generati dall’applicazione dalla Mifid 2, che ha avuto molti meriti sul fronte della tutela dell’investitore retail, ma una serie di conseguenze negative per i clienti con patrimoni elevati in termini di limitato accesso al premio di illiquidità, di minore opportunità di diversificazione e decorrelazione dei portafogli.
Le indicazioni sono già contenute in una proposta del MEF, si tratta di sostenerle con autorevolezza sui vari tavoli ancora aperti. Oggi si apre una partita europea nella quale l’Italia può giocare un ruolo di primo piano per favorire una migliore allocazione delle risorse, indirizzando la liquidità privata verso opportunità di investimento alternative che agiscano da moltiplicatore, affinché ciascuno possa dare a pieno un proprio contributo, accompagnando lo sforzo messo in campo dal Next generation Eu.